A tu per tu con Giovanni Ghelfi: Liason Officer dei Baby Blacks, straordinari campioni del Mondo tra caramelle e canti

Chissà cosa avr?????????????à pensato la gente di Colorno nel vedere un gruppo armadi di cento e passa chilogrammi danzare sul posto a una fermata dell’autobus. O vederli riempire al supermercato un carrello di caramelle gommose. Curiose pennellate di vita di un gruppo di ragazzi straordinario. Invincibile, dal punto di vista sportivo. Unico, da quello umano. I Baby Blacks, freschi campioni del Mondo, sono anche questo. “Impressionanti. Facevano il ripasso pre-partita alla stazione degli autobus tra una pensilina e l’altra, mimando una uscita dal frontale”. A raccontarli è Giovanni Ghelfi, Liason Officer della Nuova Zelanda ai recenti campionati del Mondo under 20. Un mese vissuto accanto al gruppo neozelandese, concentrato nell’inseguire l’unico obiettivo ammesso quando indossi la maglia nera con la felce argentata. Un mese di lavoro, avventure, sfumature di un mondo agli antipodi non solo dal punto di vista geografico, che Giovanni ha avuto l’onore (e il piacere) di conoscere in maniera ancor più intima.
Giovanni, a cosa servivano le caramelle gommose?
“Ne abbiamo comprato una quantità inverosimile, come se ci fosse una festa di compleanno per bambini delle elementari. In verità si trattava di ‘recovery food’ per fare rifornimento di glicogeno – riserva energetica muscolare – dopo uno sforzo. Questa scelta alimentare disinibita mi ha incuriosito”.
Come è stato vivere per diverse settimane accanto ai Baby Blacks?
“Come vivere un sogno. Ringrazio di cuore la Federazione per questa opportunità. Mi sono sentito esattamente come nel 1992, quando ho giocato nelle riserve del Rovigo di Checchinato, Botha, Ofahengaue”.
Un impegno molto importante…
“Sì, molto intenso. Spesso si raggiungevano le 19 ore di lavoro al giorno. Un grande drive, ma nessun problema. Poi non potevo deludere mio suocero John Chamberlain, neozelandese e fisioterapista del Marlborough Rugby per 25 anni. Una questione di famiglia insomma”.
Caratterialmente, come sono i Baby Blacks?
“Educati, molto umili e molto rispettosi. Grati di aver avuto questa opportunità. Molto focalizzati sugli obiettivi”.
Cosa le ha lasciato questa esperienza dal punto di vista umano?
“Sia i ragazzi che lo staff mi hanno accolto come uno di loro fin dal primo giorno. La relazione non ha potuto che crescere, anche perché l’head coach Scott Robertson ci teneva a che si creasse tra tutti i membri della squadra un clima familiare. Ho trovato umiltà, anche da giocatori di Super Rugby o dagli ex All Blacks dello staff,  grande rispetto reciproco e inclinazione a collaborare”.
E dal punto di vista sportivo?
“Il grosso lavoro era già stato fatto. In un torneo dove si gioca ogni 4 giorni, sono molto importanti recupero e ripasso, due aspetti dove i ragazzi mettevano il 100%. Loro adottano il metodo della leadership condivisa e della responsabilizzazione. E’ un metodo che ho avuto modo di sperimentare anche nel mio lavoro di allenatore e sono riuscito a carpire qualche idea in più”.
Sono così irraggiungibili i Baby Blacks?
“Ad alto livello ovviamente la genetica fa una enorme differenza, così come il duro lavoro. Quello però che distingue un atleta ‘world class’ sono piccole cose che tutti possono fare, a qualsiasi livello. Certo, fare 260 kg di squat richiede una certa dote genetica e molto duro lavoro, me fare invece un bagno di ghiaccio per recuperare più velocemente è una cosa che chiunque può fare. Avere un fisico da Super Rugby non è da tutti, ma rispettare un regime alimentare adeguato fa una enorme differenza a qualsiasi livello e non richiede doti particolari, se non un ferrato nutrizionista. Essere umili non è un dono di natura. E’ un modo di comportarsi così come essere leader. Tutti possono essere leader se istruiti a comportarsi in una certa maniera. Essere focalizzati è un approccio al lavoro che passa attraverso obiettivi specifici; tutti possono farlo, non solo le super star. E ancora, l’idratazione che influisce pesantemente sulla performance non è scienza complessa. Basta bere acqua per fare una enorme differenza”.
Tutti aspetti che appartengono già al bagaglio dei Baby Blacks…
“E’ la conseguenza di un vissuto ricchissimo ma, con una grande attenzione ai particolari e la tecnica mentale della visualizzazione, si possono fare passi da gigante. La tecnica è accessibilissima. Basta essere ‘capaci’ di sdraiarsi e rilassarsi e…avere un bravo allenatore”.   
Conosceva già qualcuno di loro, tra giocatori e staff?
“I 3 All Blacks dello staff, Robertson, MacDonald e Umaga. Nel 2009 ho lavorato alla New Zealand Sports Academy di Rotorua e quando Darrell Shelford ha sentito che sarei stato Liason Officer per i Baby Blacks mi ha detto che Te Toiroa Tahuriorangi, il mediano di mischia, era ‘un bravo ragazzo passato per la NZSA’. Effettivamente è stato uno dei grandi protagonisti di questo torneo”.
Quando ha capito che la Nuova Zelanda avrebbe potuto vincere il Mondiale?
“Tutti sapevano che faceva sul serio, grazie alla caratura dello staff e al valore della rosa. Tutto ruotava ‘sartorialmente’ attorno ai giocatori, con attenzione ai particolari in ogni aspetto della vita quotidiana dentro e fuori dal campo. L’esordio con la Scozia ha parlato chiaro nonostante la difesa dei ‘Cardi’ fosse di tutto rispetto come dimostrato nel resto del torneo. Quando la Nuova Zelanda muoveva la palla, soprattutto da fasi di transizione, comunicava la certezza che avrebbe vinto il torneo. C’è stato un momento però in cui ho capito che avrebbe potuto perdere. In finale, di fronte a un’Inghilterra quasi perfetta. Che partita!

Gio
Un attimo che non dimenticherà mai…
“Dopo ogni partita, in cerchio, cantavamo ‘Hoki Mai’. Non solo conoscevo la canzone a memoria ma ho avuto modo di sciorinare la mia perfetta pronuncia maori; non capita nella vita di tutti i giorni. Le note di quella canzone porteranno sempre a ricordi meravigliosi”.
Parlando con i ragazzi, ha avuto modo di capire cosa hanno apprezzato dell’Italia?
“Gite non ne abbiamo fatte, tutto era rivolto al rugby. Lo staff ha apprezzato qualche avventura gastronomica in un paio dei migliori ristoranti di Parma, mentre ho sentito qualche ragazzo sorprendersi davanti a così tante belle ragazze. Una cosa però è stata apprezzata più di tutto – rugby escluso ovviamente -: il gelato! Talmente tanto che durante una riunione, agli atleti con una percentuale di massa magra non ottimale, veniva ricordato di non esagerare col gelato”.
Come sono stati accolti a Colorno?
“Benissimo: Colorno ha una struttura eccezionale. Il club ha messo in campo il meglio della vera ospitalità italiana con orgoglio, competenza, massima disponibilità e discrezione. Staff e giocatori hanno detto che a Colorno si sono sentiti veramente benvenuti. Si sono sentiti a casa. Non è un caso che si siano fermati ben 2 volte dopo l’allenamento per una grigliata in club house”.
Continuerà il rapporto anche in futuro con la Nuova Zelanda?
“Mi sento già molto fortunato ad aver partecipato alla campagna che ha portato la Nuova Zelanda alla conquista della Coppa del Mondo U20. E’ stata una esperienza molto forte che sicuramente legherà tutti i partecipanti per sempre…”.

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Autore: Manuel Zobbio

Marketing Communication Manager presso Zani Serafino, azienda storica del cookware e del design made in Italy. Un master di specializzazione del Management dell'Atleta. E' con Marco Martello il referente italiano di Digidust Sport, primaria agenzia internazionale di marketing e sport management specializzata nel rugby. Co-Fondatore di RugbyMercato.it e anima di PiazzaRugby.it dal 2009, ha fatto parte della redazione del mensile Rugby! magazine, del settimanale lameta e di MondoRugby.com, collaborando anche con l'European Rugby Cup.

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