A tu per tu con Lisandro Villagra: sean eternos los laureles

La piazzola portata all’amico Diego. Il sogno – avveratosi – di seguirlo in Europa. E poi Viadana, Parma, Prato e Recco. Nella vita di Lisandro Villagra c’è tanto tricolore, a cominciare dall’amicizia con il numero dieci azzurro. Il mediano di mischia, sin dai primi passi italiani con i mantovani, ha sempre offerto il massimo del suo repertorio, sportivo e umano. Dalle soddisfazioni di campo culminate con le convocazioni azzurre e quelle di vita vissuta, che raccontano di un personaggio unico nel panorama rugbistico italiano. Signore e signori: Lisandro Villagra.

Lisandro, vive in Italia da quando aveva 21 anni. Come è nata la scelta di trasferirsi in Europa?
‘Era il mio sogno da quando avevo 12 anni. Un sogno nato grazie a Diego Dominguez, un amico al quale portavo la piazzola tutte le partite. Quando Diego ha deciso di venire a giocare in Europa è cresciuta in me la volontà di fare lo stesso percorso’.
Subito protagonista a Viadana, con promozione in serie A1. I ricordi di quel periodo?
‘Era tutta una novità. Ero giovane, la squadra non era professionista, solo in quattro venivamo da fuori. Mi godevo il periodo: la vittoria in serie A2, la promozione in A1, tutto fantastico. Per una città così piccola come Viadana, giocare la massima categoria era un gran traguardo e mi ha riempito di gioia’.
In maglia giallonera ha alzato al cielo anche la Coppa Italia.
‘Gioia ancora più grande. Eravamo una grande squadra, con giocatori di altissimo livello. Ricordo la finale, entro in campo dopo 15’ e segno una meta. Una partita particolare, tanto fango, freddo e contro un Piacenza molto forte. Alzare al cielo il trofeo mi ha regalato una sensazione fantastica’.
Quindi Gran Parma.
‘Grazie alla chiamata di Francesco Cavatorti. L’ultima stagione a Viadana mi sentivo poco utilizzato, così ho accettato una nuova sfida. L’esperienza al Gran è stata fondamentale, perché avevo un’età in cui potevo dire la mia in qualità di giocatore. Durante quel periodo sono stato anche convocato dall’Italia per la tournée contro Fiji e Samoa e poi dalla Nazionale A. Meglio di così non poteva andare, anche grazie a un grande allenatore come Stefano Romagnoli che mi ha sempre appoggiato offrendomi ottimi consigli’.
Dopo sei anni ha poi accettato la corte del Prato.
‘In Toscana ho vissuto altri quattro anni stupendi. Ho vinto una coppa da capitano e tutto è stato meraviglioso. Purtroppo però mi sono infortunato a un ginocchio e la mia esperienza è finita. Come spesso ricordo, nessuno è indispensabile e all’improvviso, se non servi più, non sei più nessuno’.
Ora il suo quotidiano si chiama Recco.
‘Grazie a un carissimo amico, Juan López. Ormai sono 6 anni e, se non penso alle tre finali perse, posso dire che tutto sta procedendo bene. Il mare poi, ti cambia la vita davvero’.
Dove smette di essere il compagno di squadra e dove inizia a essere l’allenatore?
‘Allenatore-giocatore è ruolo duro da interpretare, ma molti coach hanno vissuto questo percorso ed è allo stesso tempo molto bello. Ti accorgi di tanti particolari che fuori dal campo non cogli e viceversa. A Recco siamo due coach, uno dentro e uno fuori dal campo (Diego Galli) e riusciamo a gestire bene le situazioni. Io sono ancora molto amico di tutti, anche se sono consapevole che bisognerebbe creare una giusta distanza tra staff e squadra. Manuel Ferrari, un grande allenatore nonché un grande amico, me lo dice sempre: cerca di staccarti un po’ da loro. So che ha ragione, ma per il momento non riesco’.
Cosa cerca di trasmettere ai suoi ragazzi?
‘La mia grinta. Io credo che la testa faccia tanto, molto più del corpo. A volte, scherzando, dico ai compagni più grossi: ‘Se avessi il tuo fisico, con la mia testa, avrei già avuto dei problemi…’. Credo veramente che la testa sia fondamentale, in tutti gli sport, ma soprattutto nel nostro che è di contatto’.
Una qualità che tutti i mediani di mischia devono avere.
‘Il mediano di mischia deve avere carattere, essere rapido e come dico sempre deve essere un ‘bastardo’, nel senso buono del termine’.
Quale è la sua filosofia come allenatore?
‘Mi piace il gioco veloce, che coinvolge tutti i giocatori. Non mi piacciono i fenomeni, penso sia più bello vedere una squadra che gioca dappertutto piuttosto che un solo giocatore che fa la differenza’.
Lisandro Villagra cosa farà da grande?
‘Me lo chiedo pure io… Mi piacerebbe tornare in Argentina, ma è difficile. Diversi amici vorrebbero venire in Europa perché nel nostro paese la situazione non è delle più favorevoli. Certamente vorrei continuare ad allenare’.
Quali obiettivi vi siete posti a Recco?
‘Vorremmo salire di categoria, ma forse è meglio non dirlo più. Abbiamo una bellissima squadra, ma in questi casi ci vuole anche un po’ di fortuna. Durante la stagione ci sono stati diversi infortuni e questo influisce molto sul lavoro. Quindi, per ora, i play off vanno bene. Poi si vedrà’.


Argentina-Italia in televisione: per chi tifa? E quale inno canta.
‘Questa domanda mi fa un po’ male. Tifo Argentina, guardandola da spettatore. Se giocassi per l’Italia, tiferei Italia al 100%. Oggi però canto l’inno argentino’.
Lisandro, quali spunti il rugby italiano dovrebbe cogliere da quello argentino?
‘Purtroppo il rugby italiano non gode di ottima salute, dal 1997 – anno del mio arrivo in Italia – ad oggi ho visto tanti peggioramenti. In Argentina la priorità assoluta sono i giovani e gli investimenti destinati alla loro crescita. Tutte le squadre poi hanno 50-60 giocatori con 6-7 allenatori a squadra. In Italia non è così. Ma credo che molto dipenda anche dalla cultura generale attorno a questo sport; in Italia il rugby non è molto sentito mentre in Argentina è vissuto diversamente. Ad esempio, molte famiglie trascorrono con i figli interi fine settimane nelle strutture del club. In Italia si vede molto raramente’.
Un aspetto che invece il rugby argentino potrebbe ‘copiare’ da quello italiano?
‘Forse il fatto che giocatori e allenatori vengono pagati. Pian piano comunque sta succedendo anche in Argentina. Sono convinto che sarà il prossimo passo’.

Autore: Andrea Nalio

Polesano, giornalista dal 2008, lavora come free lance a Londra e rappresenta l'anima operativa di RugbyMercato.it. Nel recente passato ha collaborato con i quotidiani Il Resto del Carlino e La Voce di Rovigo e condotto la trasmissione "Linea di Meta" per Radio Kolbe. Ha pubblicato anche un libro: «Pepenadores. Insieme ai cacciatori di rifiuti»: Reportage sulla dignità dei riciclatori informali della discarica di Oaxaca (Messico).

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