Nel 1956 c’erano solo Drop e Meta. Abbaiavano e scodinzolavano ai piedi del loro padrone. Non c’erano campioni d’Italia. Non ancora. Nessun Nazionale. Nessuna maglia. Ma solo la passione che Gaetano aveva deciso di trasformare da idea in progetto. Da sogno a realtà. Lui, Gaetano Genco (foto Polizianellastoria.it), Comandante della Polizia di Stato sopravvissuto a un campo di concentramento keniano tra il 1941 e il 1946 aveva due grandi amori. Il rugby e suoi cani. Tanto profondo il primo da avvolgere anche il secondo. E i nomi dei due piccoli compagni di vita. Fu proprio lui a cominciare a scrivere il primo capitolo delle Fiamme Oro Rugby. Una storia iniziata a Padova e che ora continua a Roma. Un’avventura che avrebbe narrato di battaglie, tricolori, vittorie e – certo – anche sconfitte. Una trama dove hanno conosciuto risalto anche le gesta dell’ex presidente Maurizio Montalto, storico protagonista delle Fiamme dei due mondi.
Generale, segue il cammino delle Fiamme Oro anche dagli Stati Uniti, dove vive?
‘Certo, con molto interesse. Sono sempre un grande tifoso dei cremisi’.
Un giudizio dunque sulle Fiamme attuali.
‘La società è ben solida e c’è un buon seguito di pubblico. Inoltre, accanto all’attività sportiva c’è una grande attività benefica e dedicata ai più giovani che fa grande onore ai colori cremisi e alla Polizia di Stato. Da tifoso provo una grande gioia nel vedere le Fiamme Oro tornate protagoniste nella massima serie’.
Le Fiamme odierne sprigionano lo steso calore delle sue Fiamme?
‘Ai miei tempi il poliziotto era la figura impiegata nelle piazze per problemi di ordine pubblico. Oggi è diverso. La Polizia ha un risalto differente nella vita quotidiana delle persone e l’aspetto sportivo è importantissimo, a livello umano e di integrazione nella vita civile del Paese’.
A cosa è dovuto questo cambiamento?
‘Un’importante opera diplomatica affrontata negli anni dal dottor Forgione. Alti funzionari della Polizia sono intervenuti nel tempo grazie al lavoro del presidente’.
Tre anni fa è nata una discussione tra lei e il presidente Forgione con Presutti come oggetto del contendere.
‘Sì era nato uno scambio di vedute in merito al coach. Ma tutto per il bene che entrambi vogliamo alla società e alla maglia’.
Quali le differenze maggiori tra le ‘sue’ Fiamme Oro e quelle attuali?
‘Oggi vengono reclutati giocatori che hanno già una specifica preparazione rugbistica e un background ovale. Ai miei tempi si ‘prendevano’ giocatori anche da altre discipline, come il lancio del peso, l’atletica, il canottaggio. In più c’è una differenza sostanziale…’.
Sarebbe?
‘Il servizio di leva era obbligatorio. E molti ragazzi sceglievano le Fiamme Oro, così da poter continuare l’attività sportiva e ricevere un guadagno in qualità di Guardie di Pubblica Sicurezza. Uno dei più famosi è stato Alfio Angioli (8 caps con l’Italia), marinaio che praticava canottaggio e diventato poi un punto di forza delle Fiamme insieme a Lello Levorato’.
Da protagoniste nel mondo del rugby nazionale all’addio. Gli anni ’80 sono coincisi con la fine delle prime Fiamme Oro.
‘In seguito a una decisione presa dall’allora Ministro dell’Interno le Fiamme giocarono l’ultima partita a Reggio Calabria e poi cessarono l’attività. 22-0 per noi…’.
Quanto riprese il tutto?
‘Qualche anno dopo, grazie a un’iniziativa del Comandante del Reparto Mobile di Milano, Pichetti. Le Fiamme si iscrissero al campionato di Serie C, vinto dopo due stagioni’.
E così riprese la storia.
‘Non senza difficoltà. In Serie B, la squadra venne trasferita al Reparto Mobile di Roma. Non era un team popolare e il campionato non stava andando poi così bene…’.
E da qui lei rientra in scena…
‘Mi richiamò Pichetti. Era la fine degli anni ’80. Per me le Fiamme Oro erano quelle di Padova, ma al cuor non si comanda e andai a Roma. Ci salvammo e pian piano iniziammo nuovamente la risalita, fino alla Serie A’.
Generale, quale tassello manca alle Fiamme per competere nuovamente per il tricolore?
‘Penso alla longevità dello staff tecnico. Negli ultimi quattro anni sono cambiati tre allenatori’.
A impreziosire lo staff ora c’è anche Massimo Mascioletti.
‘Persona squisita e grande uomo di rugby. E’ ciò che mancava, un grande valore aggiunto, anche sotto l’aspetto psicologico. Nel tempo il lavoro di Massimo darà i suoi frutti e il merito di averlo tra noi è senza dubbio del dottor Forgione’.
Oggi, complici anche le poche sicurezze che offre il rugby moderno, i giocatori vedono l’opzione Fiamme anche come occasione di stabilizzarsi, sia dal punto di vista economico che lavorativo. Cosa ne pensa?
‘Credo che ci sia chi ragiona con il cervello, chi col cuore. E chi con nessuna delle due cose. Nel tempo è nata un’associazione di ex giocatori delle Fiamme Oro con il motto ‘Figli di nessuno. Figli solo del Generale’. Il salto di qualità è avvenuto negli anni grazie al fatto di sentirsi parte di qualcosa, un qualcosa di unico. Non certo grazie a uno stipendio’.
E’ ancora in contatto con i ‘suoi’ uomini?
‘Certo! Ancora oggi ricevo messaggi da moltissimi dei miei ragazzi. In occasione di un raduno li ho guardati negli occhi dicendogli: ‘Vi devo ringraziare, perché voi mi avete insegnato il rugby’. Ricordiamoci che il nostro sport è un modo di vivere. E’ una filosofia di vita. Sostegno, aiuto per chi è in difficoltà. Chi lo capisce e lo mette in pratica fa una grande cosa. Chi pensa che il rugby sia solo uno sport non ha capito nulla’.
Maurizio, un sogno che ancora culla per la maglia cremisi?
‘Mi piacerebbe tanto vedere nuovamente il tricolore sul petto’.
(foto sito Fiamme Oro Rugby)