Un pomeriggio di gennaio. Rovigo-Venezia era terminata da poco e lui, al tempo alla guida dei lagunari, commentò così la sorprendente vittoria dei suoi nel tempio del rugby italiano. ‘E’ solo una partita. Ma vincere è come bere un bicchiere di latte, fa sempre bene…’. Alejandro in carriera di bicchieri di latte ne ha bevuti tanti. Sfide, soddisfazioni, vittorie. Molte legate al rugby italiano, vissuto tra Bologna e Silea, Milano e Cesena. E ancora Padova, Calvisano, Rovigo. Tutti capitoli di vita ovale scritti in Italia, paese conosciuto dopo l’esperienza in Francia – Stade Cadurcien- e gli inizi in Argentina con la maglia de La Tablada, club vissuto poi anche in qualità di allenatore. Oggi Alejandro Canale è un professionista formato, sia dal campo che dalla scrivania, pronto, ancora una volta, ad assaporare il suo ennesimo bicchiere di latte.
Alejandro, vive ancora in Argentina?
‘Sì, rimarrò qui ancora per pochi mesi, poi rientrerò in Italia. Ho terminato il mio rapporto di collaborazione con la Union Cordobesa di Rugby, il vero motivo per cui mi sono fermato qui fino ad adesso’.
In Argentina ha ricoperto il ruolo di direttore sportivo per l’Union Cordobesa. Come è andata?
‘Direi molto bene, non solo per i risultati raggiunti ma anche per il modo di reciproca stima con cui abbiamo concluso questa esperienza’.
Nell’ultimo decennio il rugby argentino è cresciuto notevolmente. Un giudizio?
‘La U.A.R. sta sviluppando un progetto tecnico da ormai 7 anni che ha migliorato notevolmente il tasso tecnico dei giocatori argentini. I risultati si vedono nei Pumas, Jaguares, Argentina XV, Pumitas, Nazionale Seven, nella metodologia e nei contenuti tecnici dei club. Inoltre l’ingresso nel Rugby Championship e nel Super Rugby ha favorito la crescita di tanti giocatori e quindi di tutto il movimento.
Del percorso affrontato dal rugby italiano cosa pensa?
‘Purtroppo l’Italia non cresce al ritmo delle altre nazioni e questo si vede chiaramente. Addirittura a mio avviso c’è una involuzione nel movimento’.
Quali sono le differenze principali che vede tra il rugby argentino e quello italiano?
‘I club sono la linfa che alimenta tutto il movimento del rugby argentino. Da quando si comincia a giocare per una società, si vivono anche i valori del club, che poi rimarranno nel cuore per tutta la vita. In Argentina si sta cercando di alimentare la base costantemente – oggi giocano a rugby più di 120.000 giocatori -. Ovvio che non sono tutte rose e fiori, ci mancherebbe. Ci sono opinioni diverse, critiche, ma tutti sono concordi quando pensano al club come a una famiglia, casa nostra’.
Ha vissuto in carriera il ruolo di allenatore e anche quello di dirigente. Quale preferisce?
‘Premesso che il mio ruolo come dirigente è stato prevalente tecnico-sportivo, non nego che mi piacerebbe allenare ancora. Ma valuterò dove e in quale mansione posso essere più utile’.
Che qualità deve avere una persona per essere un allenatore?
‘Oltre alle competenze tecniche, le quali mi sembrano scontate, direi che la personalità è fondamentale. Bisogna essere bravi nelle relazione interpersonali, nella gestione di gruppi di lavoro con umiltà e rispetto. Lavoro non facile’.
E per essere un dirigente?
‘Il dirigente tecnico-sportivo, un ruolo che ho ricoperto spesso, deve essere abile nella programmazione, nell’organizzazione, nel controllo e nella gestione. Inoltre, è importante che sia rispettoso dei vari ruoli dentro l’organizzazione’.
Un momento della sua vita che non dimenticherà mai.
‘Ne ho tanti. Ma con la mente non posso non tornare alla sera dell’incidente in motorino che ha coinvolto mio figlio Gonzalo. Arrivato sul posto ho visto due corpi semicoperti. Non avete idea di quello che ho provato…Alla fine stavano bene, un vicino di casa aveva portato loro delle coperte per ripararli dal freddo’.
Un’esperienza che vorrebbe vivere in qualità di rugbyman.
‘Mi piacerebbe collaborare a un progetto sportivo e sviluppare un piano strategico per il suo raggiungimento. E’ un desiderio cresciuto in me dopo l’esperienza vissuta in Argentina’.
L’obiettivo della sua carriera?
‘Rimanere sempre legato al mondo del rugby’.
Un giocatore che le piacerebbe allenare.
‘Non mi interessano i nomi, ma mi piacciono i giocatori con valori come il coinvolgimento, il rispetto, la predisposizione al sacrificio e l’umiltà’.
Un giocatore che ricorda con piacere.
‘Ho giocato qualche volta contro Hugo Porta, sia con il club che con la Selezione Provinciale. Un vero orgoglio per me’.
Rugby a parte, cosa fa nella vita Alejandro Canale?
‘Sviluppo un’attività di affitti per brevi periodi’.
A tu per tu con Alejandro Canale: Rugbyman dei due mondi
