Un diversivo tra una stagione e l’altra, cercato per mantenere la forma e tener allenato il ritmo. ‘Ho iniziato a giocare Rugby League nel campionato estivo, in Italia. Mi sono appassionato subito’. Due giocatori in meno in campo. E tutto cambia. Per Gioele, si apre un mondo. Lui, piemontese di Asti, emigrato ad Alghero e diventato poi Cavaliere nelle touche di Prato, capisce che è il League il suo vero destino. Oggi Gioele Celerino gioca ai Newcastle Thunder, punta al Mondiale australe con la maglia azzurra e sorride ripensando a come tutto è cominciato. D’estate. In un campo di rugby. Con due uomini in meno.
Gioele, come è nata l’idea di trasferirsi in Inghilterra?
‘Dopo aver giocato Rugby League nel campionato estivo ho iniziato a partecipare ad alcune selezioni. Quindi, ecco la convocazione azzurra e il Mondiale in Inghilterra. Nello staff c’era Mick Mantelli, coach italo-australiano, che due anni dopo avrebbe firmato con i Newcastle Thunder’.
La sua squadra attuale.
‘Mi ha chiesto di accompagnarlo in questa avventura anglosassone. Ero entusiasta. L’ho raggiunto subito’.
Come procede l’esperienza?
‘Molto bene, rimarrà sempre con me’.
Gioca nella patria del League…
‘Il livello è altissimo. Il buon rendimento passa inevitabilmente dalla mole di lavoro svolto in settimana. Ogni preparazione al match è poi accompagnata da numeri: palloni portati, metri fatti con la palla in mano, placcaggi eseguiti e subiti. E’ un approccio allo sport professionale, puntiglioso e che non lascia nulla al caso.
Gioca come professionista?
‘Nel club siamo tutti semi professionisti. Palestra al mattino e campo la sera. In Italia mi mancano alcuni esami per laurearmi in Scienze Motorie. A volte è difficile coordinarsi tra impegni agonistici ed esami’.
In Italia ha vestito le maglie di Prato e Alghero. Ricordi?
‘Di Prato ricordo con molta emozione l’esordio in Eccellenza contro le Fiamme Oro. Alghero poi è stato un posto meraviglioso da vivere’.
Come ha vissuto il passaggio al League?
‘E’ stato complicato. Esempio: in difesa, nel Rugby Union, cresciamo con il concetto di mettere l’uomo a terra e rialzarci in velocità per contestare la ruck. Il League chiede l’esatto contrario: contrasto in piedi seguito da una lotta a terra, quasi come una lotta libera, per guadagnare secondi e permettere alla propria difesa di schierarsi al meglio, a dieci metri. E’ un cambio di mentalità. Devi far diventare naturale una cosa innaturale’.
Un traguardo che vuole raggiungere.
‘Il Mondiale in Australia nel 2017’.
In Italia il League è ancora poco considerato. Secondo lei, come mai?
‘L’alto livello in televisione è materia di difficilissima reperibilità. Ma qualcosa si sta muovendo. La federazione di Rugby League sta lavorando tanto in propaganda e visibilità. Il Mondiale poi ci aiuterà’.
Il rugby a 15 è ancora un passo avanti in tema di visibilità…
‘Sono convinto che se il rugby a 13 godesse della stessa visibilità che ha il campionato di Eccellenza, riuscirebbe a crescere più velocemente. E’ uno sport più fluido, dinamico, un prodotto più vendibile sopratutto alla televisione e sicuramente più adatto anche nei confronti di chi ha solo piacere di vedere un po’ di palla ovale. Spesso mischia e touche sono un rallentamento forzato del gioco, che non aiuta certo l’intrattenimento’.
Secondo lei è più facile l’adattamento dal Rugby Union al League o viceversa?
‘Penso dal Rugby League al Rugby Union. Non mi viene in mente un Castrogiovanni in Nrl, ma penso a un Sam Burgess in Premiership’.
Una decisione che riprenderebbe.
‘Partire alla scoperta di un nuovo sport e sentirmi un pioniere. Le panchine e le tribune vissute con positività sono state parte del percorso’.
Una decisione che non riprenderebbe.
‘Pensare di fare il professionista a 900 Euro al mese’.
Tornerebbe a giocare in Italia?
‘Chissà, mai dire mai…’
Rugby a parte, come procede la sua vita inglese?
‘Molto bene, ma è un altro stile di vita! Ti svegli al mattino e il primo pensiero è per le persone più importanti che sono in Italia’.
Gioele Celerino da grande sarà…
‘Spero felice!’.
Intervista realizzata grazie alla collaborazione di Giovanna Paola Nesta.
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