A tu per tu con Norberto Cacho Mastrocola, narratore della palla ovale

Una telefonata che, a Norberto, ha cambiato la vita. ‘Era il dicembre 1985. A chiamarmi era Lorenzo Bonomi, allora General Manager del Rugby Brescia che, in un francese ‘maccheronico’, mi convinse al trasferimento in Italia, offrendomi la possibilità di essere retribuito per mettere in campo la mia passione’. Lo scenario, vissuto fino a quel momento da una prospettiva amatoriale, muta radicalmente. ‘Ero venuto in Europa per un’esperienza sia rugbistia che professionale, considerati i miei studi contabili in Argentina. E improvvisamente…’. Norberto Mastrocola inizia così a scrivere la sua storia con il rugby italiano. Brescia, poi Livorno. Prima però, la parentesi francese. Al Bordeaux e al Racing Club. ‘Dopo quattro anni in Francia – racconta Cacho -, ho cominciato a pensare al futuro lavorativo, considerato che il mio status di straniero non mi permetteva di trovare un’occupazione nel settore per il quale avevo studiato’. A favorire questo percorso, una trasferta della Francia di Jacques Fouroux in Argentina, durante la quale Norberto guida i francesi tra les calles di Buenos Aires vestendo i panni dell’accompagnatore non ufficiale. Fino al giorno del match, giocato allo stadio Ferro Carril Oeste. ‘Seguivo la partita accanto alla panchina di Fouroux – ricorda Cacho -, quando un giornalista e fotografo argentino che lavorava a Roma per la stampa spagnola mi chiese se avevo la doppia cittadinanza, così da potermi contattare nel caso qualche club italiano avesse bisogno di un rinforzo straniero’. Cittadinanza che Mastrocola aveva, grazie alle origini abruzzesi di nonno Rocco (di Guardiagrele, provincia di Chieti). Quel giornalista si chiamava Carlos Alberto Martinez Lopez, ultimo tassello nel mosaico sportivo di Mastrocola nonché chiave necessaria per aprire la porta ovale tricolore. Nel tempo Norberto è diventato un rugbyman a 360°, narratore della palla ovale, giornalista appassionato che, dalla base al vertice, racconta quotidianamente le vicende del rugby italico. E pazienza se l’accoglienza italiana non è stata tra le più calorose. ‘Dovetti convivere con le polemiche di alcuni dirigenti del Calvisano che non ritenevano corretto l’impiego di un giocatore straniero’, ricorda con il sorriso. Oggi però, a distanza di 20 anni, parafrasando le sue stesse parole e ricordando come tutto è iniziato, non sarà difficile strappargli un autentico…‘abbiamo vinto’.
Cacho, al suo arrivo in Italia non venne accolto con grande calore…
‘C’erano diversi dirigenti che contestavano il flusso di italo-argentini in Italia. La cosa più curiosa è che loro stessi negli anni hanno poi continuato a farne uso e abuso’.
Al termine della sua carriera agonistica, ha deciso di rimanere in Italia. Cosa c’è alla base di questa scelta?
‘Un progetto di vita, sia lavorativo che familiare. Non pensavo solo alla mia carriera da rugbista quando ho accettato di venire in Italia’.
Dal rugby di base al vertice, il suo progetto coinvolge tutte le categorie della palla ovale italiana. Come è nato?
‘Circa 18 anni facevo parte di un programma dedicato al rugby in una televisione locale, nel bresciano. Era un telegiornale multietnico, che conducevo nella mia lingua madre. Così facendo, avevo la possibilità di informare tutte le persone spagnole e latinoamericane, in Italia, parlando la mia lingua d’origine. Dopo quelle prime esperienze è nata in me la voglia di divulgare questo sport e la mia passione per la palla ovale’.
Negli anni in Italia, ha vissuto l’evoluzione di questo sport, prima come giocatore, poi allenatore e quindi come giornalista. Qual è la sua opinione in merito al cammino del rugby italiano?
‘E’ un cammino in salita. In Italia non credo che il rugby sia valorizzato e diffuso in maniera adeguata, considerato anche la potenzialità dei giocatori e le tradizioni sportive italiane. Il rugby fatica a emergere inoltre perché manca di un contesto fertile per poterlo sviluppare; non c’è neppure una grande quantità di gente che lo segue’.
Uno sguardo all’Eccellenza di quest’anno.
‘Il giudizio per ora è positivo. Molte squadre si sono rinforzate, anche come staff tecnico. A livello societario la situazione è più complessa: gli sponsor che si impegnano con le squadre non hanno un adeguato ritorno commerciale degli investimenti fatti’.
Vede una soluzione a questo problema?
‘Bisognerebbe puntare sulla formazione del personale societario, sia manageriale che sportivo, in modo da aumentare le competenze dei dirigenti’.
Da dove nasce la voglia di raccontare questo sport?
‘La passione per il rugby è stato un colpo di fulmine. La squadra dove giocava mio fratello Carlos non aveva abbastanza giocatori per iniziare una partita. E rischiava di essere penalizzata. Così mi chiesero di scendere in campo. Ho sempre amato gli sport di contatto ma, come per tanti argentini, il mio sport preferito al tempo era il calcio’.
Poi la palla ovale ha fatto il resto…
‘Con il rugby ho scoperto il modo di vivere il gruppo, tutti insieme. Il valore del ‘dare prima del ricevere’ nei confronti del club di appartenenza. E poi il coraggio, il sacrificio, l’altruismo, il rispetto dei compagni, dell’avversario e delle regole, tutti ingredienti che hanno aiutato la mia crescita, di giocatore e di uomo. Ecco perché ho voluto continuare a raccontare questo meraviglioso sport’. 
Diamo uno sguardo all’Argentina. Negli ultimi anni i Pumas (e il rugby albiceleste in generale) hanno vissuto una grande crescita.
‘In Argentina, da sempre, lo spirito di gruppo è molto forte, il club viene visto come una vera seconda casa e questo permette di aumentare il numero di giocatori. Dalla quantità è poi emersa la qualità.  Anche la mentalità federale è cambiata, diventando da dilettantistica a professionale; questo ha portato alla nascita di un gruppo di giocatori di alto livello. Tutto è stato possibile grazie alla voglia di emergere e all’orgoglio nazionale targato Pumas’.
Torniamo in campo per un ultimo passaggio. Con quale avversario si divertiva a giocare?
‘Mi ricordo in particolare Kirwan e Campese, del quale ho ammirato la grande abilità, la potenza e la capacità di gioco’.
E un compagno?
‘Hugo Porta, grande capitano della nazionale argentina. Lui è stato un talento puro, un trascinatore sia per le grande qualità tecniche che umane. Poi, ho avuto anche la fortuna di giocare insieme ai miei fratelli, Claudio ed Horacio’.

La scheda

Nato a Buenos Aires il 15 aprile 1953, Norberto Mastrocola inizia a giocare a rugby a 17 anni nel Los Pinos (club di terza divisione). Prima stagione in under 18 e poi salto in Prima Squadra. Le sue qualità non passano inosservate e nel 1976, grazie all’aiuto di un amico, Norberto ottiene un provino per il Banco Nacion, club di prima divisione, dove giocherà fino al trasferimento in Francia, nel 1983. Nel frattempo nel 1977 eccolo in campo a Buenos Aires con una seleziona nazionale a  sfidare la Francia di Jean-Pierre Rives mente l’anno successivo è protagonista in Europa durante una tournee in Inghilterra, Galles, Francia e Spagna. Nel 1981 poi, il suo team si rinforza con giocatori della Nazionale per una tournee in Sud  Africa. Giocheranno con il nome dei Los Toros, considerato il pieno periodo dell’Apartheid.

L’arrivo in Europa avviene nel 1983 grazie a un amico musicista (e rugbista) conosciuto in Argentina che facilita il suo passaggio al Bordeaux Etudiant Club (terza divisione). L’offerta del club è ottima (eccezion fatta per il biglietto aereo, a carico di Chaco…): vitto, alloggio, lavoro part-time e iscrizione a un corso universitario per stranieri per imparare il francese.

L’esperienza a Bordeaux dura due stagioni, prima del trasferimento a Parigi, nel Racing Club de France (allenato da Robert Paparemborde).

In Italia Norberto arriva nel 1985 grazie alla chiamata del Rugby Brescia, alla ricerca di un giocatore di esperienza che possa aiutare il team nella difficoltosa poul retrocessione, obiettivo raggiunto nel derby salvezza contro Calvisano.

L’esperienza europea non ha comunque impedito a Mastrocola di mantenere ben saldo il suo rapporto con l’Argentina. Alla fine della stagione – e a salvezza ormai conquistata – eccolo di ritorno a casa per giocare con il suo Banco Nacion e contribuire, insieme al compagno e amico Hugo Porta, alla conquista del titolo.

Il rapporto con Brescia è comunque ben saldo e Cacho gioca altre due stagioni con la compagine lombarda di Elvio Simonato. Dalla poul salvezza a quella scudetto il passo è breve e nel 1987 il pack del leader Mastrocola guida il team alla poul tricolore.

Nella stagione successiva ecco il trasferimento al Livorno di Marco Bollesan (rimarrà in Toscana per due stagioni) prima dell’ultima esperienza di campo con l’Arix Viadana (con i mantovani promozione in Serie A2).

Terminata la carriera agonistica Norberto Mastrocola inizia quella di allenatore ottenendo il terzo livello federale e collaborando con diverse squadre del bresciano come il Fiumicello, il Botticino e lo stesso Brescia, società per la quale allena l’under 16 e veste i panni di Direttore Sportivo nella stagione 2000/2001, prima che la fusione con il Rovato porti alla nascita della Leonessa Rugby.

Attualmente conduce il programma Tutto Rugby Tv per Brescialivetv.it, dove racconta tutte le sfumature del rugby italiano, dalla base al vertice. (foto di Stefano Delfrate)

Autore: Andrea Nalio

Polesano, giornalista dal 2008, lavora come free lance a Londra e rappresenta l'anima operativa di RugbyMercato.it. Nel recente passato ha collaborato con i quotidiani Il Resto del Carlino e La Voce di Rovigo e condotto la trasmissione "Linea di Meta" per Radio Kolbe. Ha pubblicato anche un libro: «Pepenadores. Insieme ai cacciatori di rifiuti»: Reportage sulla dignità dei riciclatori informali della discarica di Oaxaca (Messico).

2 pensieri riguardo “A tu per tu con Norberto Cacho Mastrocola, narratore della palla ovale”

  1. Grande persona. L’ ho conosciuto da avversario e da allora la mia stima nei suoi confronti non si è mai affievolita.
    Persona di sport e grosso conoscitore del rugby a 360°.
    Il rugby gli deve essere grato.

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