A tu per tu con Salvatore Costanzo: generale di trincea alla conquista dell’Argentina

Dieci medaglie sul petto. Dieci decorazioni guadagnate in trincea che lo hanno trasformato in leggenda. Il generale Salvatore Costanzo è salpato dal porto italiano con tutti i suoi riconoscimenti. E ha puntato il sud del Mondo. Direzione Argentina. Destinazione Buenos Aires. Il giocatore più decorato del rugby italiano – mai nella storia recente un giocatore aveva urlato la gioia di 10 titoli nazionali – sta scrivendo un nuovo capitolo della sua epopea. Storia dove il rugby, questa volta, è solo complemento. ‘Qui si può imparare molto a livello rugbistico, ma l’obiettivo primario adesso è la carriera lavorativa’. Terminata con successo la campagna italiana difendendo con orgoglio il confine calvino, per Salvatore Costanzo, adesso, la strategia è cambiata. Ma il traguardo, in fondo, non è poi così diverso da una linea di meta da raggiungere con sacrificio e orgoglio.
Salvo, partiamo dalla scelta di trasferirsi in Argentina. Motivazioni?
‘Volevo fare una nuova esperienza di vita con mia moglie e i miei figli. Abbiamo dei progetti lavorativi ambiziosi e molto validi nel campo della ristorazione e difficilmente realizzabili in Italia. Inoltre, la possibilità di vivere in una metropoli come Buenos Aires ci affascina molto’.
E poi c’è il rugby.
‘Certo! Questa è una grande nazione dove si può imparare molto a livello rugbystico. Si respira una passione attorno al rugby che non ha eguali e ho deciso di viverla personalmente. Ora da giocatore, per capire di più. In futuro mi piacerebbe allenare, cosa che amavo fare anche in Italia’.
Sta continuando a giocare?
‘Si sto giocando’.
Bella malattia, il rugby…
‘Sinceramente ero stanco del rugby inteso come lavoro. In Argentina ho scoperto un rugby che non conoscevo, riempito da tanta passione, dedizione e sacrifici. Non è professionistico, ma è molto, molto professionale! E visto che la voglia di rugby non la cancelli facilmente, dopo solo un mese ho esordito con l’Olivos Rugby Club’.
Conosceva già il team?
‘Ci gioca da una vita il fratello di mia moglie, Santiago Monteagudo…che ci ha messo del suo per convincermi a giocare’.
Quali progetti ha in Argentina?
‘Al momento, io e mia moglie stiamo gestendo la colazione e il pranzo del ristorante pizzeria La Jazmina, locale storico di proprietà della famiglia di Daniela. Ci hanno proposto questo progetto, considerato che fino a pochi giorni fa il locale era aperto solo di sera. Per noi si tratta di un punto di partenza, il nostro obiettivo – già in cantiere – è quello di gestire un locale tutto nostro’.
Come sta vivendo questo primo periodo?
‘E’ una sensazione strana. Dobbiamo trovare i nostri ritmi di vita, la mentalità è diversa, non siamo certo in vacanza e ora inizia per me la vita reale, quella lavorativa. Il rugby è stato un lavoro per tanti anni, ma quando sei un atleta professionista sai che tanto dipende solo da te, mentre nel lavoro ci sono mille altre variabili che possono portare al successo o al fallimento. Questo un po’ mi spaventa…’.
Ha lasciato il rugby italiano da campione d’Italia. Un pensiero?
‘Ho lasciato da campione d’Italia, è vero! È stata una gioia incredibile, non potevo sognare di finire al meglio il mio percorso italiano. Volevo lasciare il segno, un bel ricordo a Calvisano. Era diventata un’ossessione. Se non avessimo vinto, probabilmente avrei giocato un altro anno’.
Negli anni ha mantenuto fede a due club, Treviso prima e Calvisano poi, legando il suo nome ai successi del team. In un rugby dove i giocatori cambiano spesso, come mai la scelta di rimanere a lungo nelle stesse squadre?
‘Due club straordinari ai quali sono molto legato e che ho vissuto in periodi fondamentali della mia vita. Treviso mi ha tolto dalla strada, mi ha fatto nascere come giocatore e crescere come uomo. Calvisano mi ha dato la possibilità di rinascere quando pensavo fosse tutto finito. Sono molto grato ad entrambe le società!’.
Il giocatore che in campo le ha creato più difficoltà?
‘Ho avuto la fortuna di giocare contro tanti giocatori forti. Non voglio citarne alcuni con il rischio di dimenticarne altri. Però posso parlare di squadre. Quando giocavo a Treviso, contro Calvisano era sempre durissima e dal sapore speciale. Stessa rivalità che si è creata con Rovigo una volta trasferitomi a Calvisano’.
Un irrinunciabile compagno di viaggio.
‘Il ‘Moro’ Gabriele Morelli, non potrei fare altri nomi. Persona fondamentale nei miei 6 anni a Calvisano; per me, per la mia famiglia, sempre presente, nonché un punto di riferimento importante per i miei figli. Di lui sento particolarmente la mancanza’.
Se potesse, una cosa che cambierebbe nella sua carriera.
‘Nel 2009 ero a un passo dal Perpignan, ma un infortunio a fine stagione fece saltare tutto. Un’esperienza che avrei voluto vivere’.
Un desiderio che non si è ancora avverato?
‘Mi piacerebbe diventare padre di una bambina. Ecco, vi svelo questo. Gli altri li tengo per me…’.
Capitolo Nazionale. Avrebbe voluto maggiori occasioni durante la tua carriera?
‘La Nazionale è stato il più grosso rimpianto della mia carriera, avrei voluto giocare molto di più in maglia azzurra. Quando ho avuto l’occasione, nel 2004, l’ho buttata per troppa arroganza; ho mancato di rispetto a John Kirwan e non sono più stato convocato durante la sua gestione. Dopo tre anni però sono ricominciati gli infortuni a causa dei quali, dal 2007 al 2010, non ho avuto continuità. Poi, nel 2011, dopo la fine della storia con Treviso, tutto sembrava finito’.
Poi alla sua porta bussa Calvisano.
‘Calvisano mi ha cambiato la vita, sia come giocatore che come uomo, così ho deciso di dedicami totalmente a loro: per dimostrare all’ambiente la mia gratitudine e in generale – compreso a me stesso – che non ero un giocatore finito. Riguardo l’azzurro, ormai ero rimasto fuori dal giro per troppo tempo’.  
Torniamo in Argentina. Quali differenze ha notato nel modo di vivere il rugby?
‘La prima differenza che ho notato tra Italia e Argentina è l’attaccamento che atleti e allenatori hanno verso il proprio club di appartenenza, un sentimento quasi morboso, incredibile. Emozioni provate anche per la Nazionale. A tutti i tornei viene data importanza perché sono consapevoli che i futuri giocatori della Nazionale verranno formati proprio dalle società, di conseguenza al centro dell’attenzione di tutto il movimento. Rispetto all’Italia, poi, non ci sono soldi di mezzo, i giocatori pagano per giocare. Non so dirvi se è giusto o sbagliato, ma visto i progressi del rugby argentino, non oso immaginare quali traguardi potrebbe raggiungere se ci fosse anche solo una forma di semi-professionismo come in Italia’.
Salvo, come può migliorare il rugby italiano a livello di competitività e interesse (per i tifosi, per gli sponsor…)?
‘Credo che bisognerebbe dare priorità assoluta ai campionati interni, dall’Eccellenza in giù e non concentrare l’attenzione quasi solamente sulle franchigie. Il futuro del rugby italiano nasce dai club e le franchigie dovrebbero essere solo il passo finale. In Italia i talenti non mancano, bisognerebbe concentrare le proprie risorse in maniera efficace e così ne gioverebbe tutto il movimento’.
Come vive Salvo Costanzo la quotidianità, oltre al rugby?
‘Sto scoprendo molte cose nuove ed è un momento di crescita molto importante per me e la mia famiglia. Mi sto concentrando sul lavoro, aspetto che mi porta via gran parte delle forze mentali e fisiche (adesso capisco cosa vuol dire lavorare veramente e siamo solo all’inizio). Fortunatamente la famiglia di Daniela ci sta aiutando parecchio nella gestione di tutto e ne approfitto per ringraziarla’.
Livello di spagnolo?

‘Me la cavo abbastanza e sono contento, ho avuto mia moglie come insegnante e fidatevi, è stata fondamentale. Mio figlio più piccolo, Luca, ancora non lo parla ma penso, considerato il carattere, che riuscirà ad insegnare prima l’italiano agli argentini che a imparare la loro lingua. Mattia invece, mio figlio più grande, capisce e parla bene e ha già diverse amicizie. Entrambi hanno iniziato a giocare a rugby appena arrivati’.
Sente la mancanza di casa?
‘Della mia famiglia, che sento spesso. Presto verranno a trovarmi e questo mi rassicura’.
E della sua famiglia di Calvisano?
‘Si molto. Cristian Rossi, proprietario del bar in centro, Moro, Davo, Giannino, mio vicino di casa, tutti gli amici, i colleghi…Vi saluto tutti ragazzi, siete sempre con me!’

(foto profilo Facebook Salvatore Costanzo e Stefano Delfrate)

Autore: Andrea Nalio

Polesano, giornalista dal 2008, lavora come free lance a Londra e rappresenta l'anima operativa di RugbyMercato.it. Nel recente passato ha collaborato con i quotidiani Il Resto del Carlino e La Voce di Rovigo e condotto la trasmissione "Linea di Meta" per Radio Kolbe. Ha pubblicato anche un libro: «Pepenadores. Insieme ai cacciatori di rifiuti»: Reportage sulla dignità dei riciclatori informali della discarica di Oaxaca (Messico).

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