Imola Rugby Promosso in B. Raffin: «Traguardo inaspettato, i ragazzi sono stati eccezionali»

Veni, vidi, vici. La più celebre frase della cultura latina riassume alla perfezione la stagione vissuta da Stefano Raffin, Direttore Tecnico dell’Imola Rugby: sbarcato in Romagna l’estate scorsa, dopo diverse avventure in realtà importanti della palla ovale italiana, il dirigente rossoblù ha ricoperto un ruolo di primissimo piano nella cavalcata trionfale della squadra di Sermenghi, fresca di promozione in serie B. Non solo come figura di collegamento tra staff tecnico e vertici dirigenziali, ma anche nella preparazione sotto l’aspetto atletico della squadra, rivelatosi questo come uno dei punti di forza principali della compagine romagnola.

Stefano Raffin al lavoro sul campo

Imola che non a caso, è spesso riuscita nell’arco del campionato a mantenere costantemente elevata l’intensità del proprio gioco: «Credo che la bassa età media della squadra (oscillante intorno ai 22-23 anni) si sia rivelata un’arma fondamentale, – spiega Raffin- visto che in numerose occasioni siamo riusciti a prevalere sugli avversari soprattutto dal punto di vista atletico. Inoltre va fatto un plauso ai ragazzi, che si sono mostrati sin dalle prime settimane di allenamento coesi e in armonia, sia in campo che fuori. Grazie alla forza del gruppo siamo riusciti a superare i pochi (per fortuna) momenti di difficoltà».Raffin:

17 vittorie su 18 partite disputate, miglior attacco e miglior difesa in entrambe le fasi del campionato: l’Imola Rugby si è rivelata una vera e propria corazzata, mai realmente impensierita dalle dirette concorrenti. «Parlando sinceramente, nessuno in società si aspettava un risultato simile- rivela il direttore tecnico rossoblù – l’estate scorsa ci eravamo prefissati di puntare alla promozione entro tre anni. Eppure ci siamo riusciti al primo, grazie alla maturità e alla crescita di questi ragazzi eccezionali: tra tutti, vorrei citare Sabbioni, Bianconcini e Ottavi, che mi hanno veramente stupito per forza continuità di rendimento. Dentro di me, dopo la vittoria della Poule 1, sapevo che ci saremmo giocati fino all’ultimo la Promozione».

Nel successo dell’Imola Rugby, una firma importante è stata quella di coach Sermenghi, abilissimo nel plasmare una squadra dalla mentalità vincente, in grado di imporre il proprio gioco: «Fabio ha fatto un lavoro eccellente, mi ha colpito soprattutto la sua cura quasi maniacale nel preparare le partite. Dal mio punto di vista un grande contributo è stato dato dall’intera dirigenza, che è sempre stata vicino alla squadra nel corso dell’annata»

17 vittorie su 18 partite disputate, miglior attacco e miglior difesa del campionato

Ora è tempo di festeggiare la promozione ottenuta tra tanto sudore e fatica, ma in casa Imola Rugby l’obbiettivo è fare bene anche nella categoria superiore. Raffin, non a caso, ha già le idee chiare: «L’intenzione primaria è quella di consolidarci in serie B. Nella prossima annata mi auguro una crescita, di pari passo con la Prima Squadra, da parte della formazione Under 18. Questa è stata una stagione di transizione per il nostro settore giovanile, che ha ampi margini di miglioramento: il mio lavoro nei due anni futuri sarà concentrato infatti sullo sviluppo di rugbisti in erba e sulla formazione dei tecnici».

Chiosa finale riservata ai ringraziamenti: «Dedico la vittoria del campionato a mia figlia, alla quale tolgo tanto tempo a causa del mio amore per la palla ovale, e a mio padre: è grazie a lui infatti che mi sono avvicinato a questo bellissimo mondo che mi sta dando tante soddisfazioni».

Marketing e management dello sport. Analisi, strategie, azioni

Tematiche come il brand e l’event management, il customer relationship management, il co-marketing, l’heritage marketing e altri aspetti diventano sempre più parte di una vera professionalità di management sportivo.

Il percorso di sviluppo della sport industry prosegue con sempre nuovi fruitori (dai neonati alla quarta età), applicazioni (in particolare con le finalità salutistiche), ambiti geografici (si pensi al mondo medio-orientale e asiatico) e tecnologie (per esempio big data e social media), così da costituire uno dei più importanti settori industriali in termini di contributi al pil e all’occupazione. La costante crescita dello sport anche dal punto di vista economico spinge sempre nuovi protagonisti (anche stranieri) ad affacciarsi nel contesto competitivo mondiale, innalzandone le difficoltà. A questa intensa concorrenza si può rispondere solo aumentando proporzionalmente la capacità manageriale intesa a 360 gradi.

Sergio Cherubini propone con questo volume un approccio al tempo stesso rigoroso dal punto di vista scientifico e pratico da quello applicativo, inserendo nel testo molti casi ed esperienze reali (dagli Internazionali di tennis alla Nike, dall’Amsterdam Arena ai circoli sportivi), a sostegno di un quadro concettuale costruito nell’arco di oltre venti anni di studi, ricerche e pubblicazioni su questo tema.

Il marketing e la comunicazione nello sport. Lo scenario dell’entertainment business

Questo libro sviluppa un’analisi di quelle che sono le caratteristiche relative al nuovo orizzonte delle società sportive che, anche, a seguito della “Riforma Draghi”, relativa ai mercati mobiliari italiani, agli inizi del terzo millennio, hanno acquisito i connotati di organizzazioni profit.
Ne è derivata l’opportunità che le società sportive siano gestite come attività di entertainment che necessitino, veramente, di un approccio orientato al marketing e alla comunicazione. Tale approccio consiste, fra le altre, nell’applicazione di politiche di marketing, merchandising e sponsorship che rendano possibile l’organizzazione di un’offerta del prodotto spettacolo sportivo adeguata alla domanda proveniente dai mercati.
È, inoltre, importante verificare come gli atleti siano, sempre di più, valorizzati in qualità di testimonial delle aziende che, non a caso, decidono di supportare eventi sportivi. Tra le società sportive, quelle calcistiche rappresentano un caso meritevole di approfondimento, insieme, ad alcune storie di successo relative al marketing e alla comunicazione nello sport.
Il volume è caratterizzato da un approccio all’argomento semplice e diretto tale da poter essere una guida non solo per i consulenti, i professionisti e gli addetti ai lavori, ma anche per tutti gli appassionati.

L’autore partendo dalla legge 586/96 che ha sancito la distribuzione degli utili alle società professionistiche, pone l’accento sul fatto che, per competere in un contesto fortemente competitivo, le società non possono prescindere dall’attuare politiche di marketing mirate a incrementare il fatturato. Non solo diritti tv e incassi da botteghino, ma anche politiche di sviluppo del brand per creare maggiore appeal, attrarre sponsor e confezionare un prodotto interessante in un mercato internazionale.
Nel libro viene dedicato ampio spazio alle sponsorizzazioni e alla comunicazioneaffinché risultino efficaci ed efficienti per tutti i soggetti interessati. Dopo una prima parte descrittiva sulle caratteristiche e sui vari aspetti di una sponsorizzazione, si apre una sezione molto interessante riguardante la valutazione, il monitoraggio, i criteri di selezione di una partnership e l’identificazione dei format sia da parte dello sponsor che dello sponsee.
Le sponsorizzazioni sono una fonte di ricavo importante per il mondo dello sport, ma anche un’opportunità per molte aziende di legare il proprio nome a un evento, un campione o una società sportiva, al fine di promuovere un prodotto, potenziare l’immagine, conquistare segmenti di mercato e ampliare la clientela.
Oggi le sponsorizzazioni sportive, come scrive Giangreco, “… sono diventate parte di una strategia di marketing globale e integrata, non soltanto dell’azienda sponsor, ma anche della società sportiva, che, sempre di più, hanno costruito, insieme, progetti sinergici, contraddistinti da forme di collaborazione economica e organizzativa”.
Lo sviluppo della dimensione economica dello sport ha evidenziato come i grandi campioni sono un efficace mezzo di comunicazione, e molte aziende o società sportive, hanno compreso le potenzialità di questi personaggi facendoli entrare, sempre più spesso, nelle strategie di marketing.
Le leve del marketing mix Price (prezzo), Product (prodotto), Place (Distribuzione), Promotion (Comunicazione) applicate anche nella gestione di un atleta o nell’organizzazione di un evento per una strategia vincente, in un contesto, quello attuale, caratterizzato dalle nuove tecnologie che ricoprono un ruolo fondamentale negli scenari moderni legati alla comunicazione.
Nella parte finale del libro vengono analizzate delle interessanti storie di successo relative al marketing e alla comunicazione nel mondo dello sport, per meglio comprendere le teorie esaminate attraverso casi pratici e reali.

Sport Marketing Books, un podcast da non perdere

RugbyMercato vuol essere sempre più un blog pensato per gli addetti ai lavori, un punto di vista diverso sul rugby, visto con gli occhi di chi ci lavora e, perché no, con l’ambizione di dare anche un minimo di valore aggiunto per quanti vi si dedicano ogni giorno, anche e soprattutto a livello professionale.

Ecco spiegata dunque la “rubrica dei libri”, libri di rugby e non solo, ma soprattuto libri che possono aiutare le professionalità del management sportivo legato al marketing.

Libri che vi invitiamo a segnalare a redazione@rugbymercato.it ma anche contenuti a tema presi da altre fonti di valore, non possiamo così esimerci da segnalare il lavoro di Andrea Annunziata  e i suoi podcast a tema: https://www.spreaker.com/show/sport-marketer-books

Un appuntamento che vi consigliamo di seguire, ne approfittiamo per segnalare uno dei titoli presentati da Annunziata. Non «Marketing Ovale» di Antonio Pagano, che tutti voi avrete di sicuro letto, ma un libro che abbiamo scoperto grazie a questo podcast e che parte dalla domanda “leader si nasce o si diventa?”, «uno sviluppo semplice ma molto interessante sulla tematica. Utile per la gestione di team di dirigenti nelle realtà sportive in via di sviluppo» spiega Andrea nel suo podcast. Il titolo:«Il parafulmine  e lo scopone scientifico» di  Gian Paolo Montali

Draft, barrages e la difesa di una Lega

Il campionato di Top 12 è alle porte, con un cambio di nome, un allargamento a dodici squadre, ma senza altre modifiche sostanziali.
La federazione, che gestisce il campionato da dieci anni, dopo l’harakiri della LIRE, sembra ancora ferma al bivio della decisione su cosa deve essere il campionato italiano; campionato di servizio per le franchigie o campionato da valorizzare e promuovere?
Non lo ha capito la federazione e nemmeno i club, che hanno evidenti visioni diverse, opinioni contrastanti che fanno da zavorra alla ricostituzione della nuova lega, ora ferma a livello di coordinamento tra clubs.
Credo che questo sia uno dei punti principali del perchè l’evoluzione del movimento vada a sprazzi e non in modo lineare, la mancanza di una direzione, di uno scopo comune.
Ai club di Top12 si chiede, di fatto, di completare la formazione post accademia dei giocatori, ma la distribuzione degli stessi non è regolamentata, tranne che per il regime FIR per i giocatori di interesse nazionale.
Allo stesso modo, da anni si parla di impiego e redistribuzione dei giocatori di Pro14, non utilizzati da Zebre e Treviso, nel massimo campionato italiano, come succede in Irlanda  e Galles regolarmente, ma l’incertezza federale e le questioni di campanile non hanno prodotto nessun tipo di risultato nemmeno per questa stagione (due per club, uno? zero).
Forse una cosa potrebbe non escludere l’altra, e cioè si potrebbero trovare misure che seguano la filiera accademia-club-franchigia, ma che allo stesso tempo valorizzino quella che una volta era semplicemente la serie A.
Aumentare il divario tra le prime e le ultime non aiuta a far crescere un campionato, e non è neanche una questione di soldi, contributi federali.
Il paradosso del draft NBA  fa sì che le squadre più deboli possano scegliere al primo giro i giocatori migliori, quindi non è il potere economico o di blasone a condizionare il mercato, ma una regola certa che consente agli attori più deboli di meglio attrezzarsi per stare sul palcoscenico più visto del paese.
A chi giova vedere differenze di 40/50 punti tra una squadra e un’altra? Non sarebbe meglio avere partite incerte, equilibrate, che portano interesse e non noia, scontatezza, soprattutto in uno sport in cui la porta è larga quanto la larghezza del campo…
L’NBA è una lega chiusa certo, il nostro campionato è aperto con 2 retrocessioni e due promozioni dalla serie A. Giuste? Troppe?
Il punto è capire quale sia il divario tra le prime due divisioni del campionato e quanti progetti concreti di investimento ci siano in giro per l’Italia.
Consci che culturalmente l’Italia è una cosa e gli USA un’altra, la classica via di mezzo avrebbe potuto essere il barrage tra penultima di Top 12 e seconda di serie A, come succede in Top14.
Una società per investire deve avere continuità e lo spettro della retrocessione spesso fa andare col freno a mano tirato.
Misurare la differenza tra i due campionati con un barrage è una forma di protezione di una lega (intesa all’americana) e, a mio parere, farebbe anche in modo di evitare promozioni casuali.

Discorsi da bar, ovvio, ma la programmazione non si fa al bancone con birra e patatine, la si fa o non la si fa.
E programmazione fa rima con organizzazione e volontà (anche se non fa rima…).

A tu per tu con Perry-John Parker, bersagliere tricolore. ‘Ciao Rovigo, mi hai insegnato tanto’

Una domenica di pioggia nel sud dell’Inghilterra. Perry-John, appena 4 anni, viene accompagnato al campo dai suoi genitori. Il freddo e l’umido non lo scoraggiano. ‘Ho amato il rugby sin dal primo istante. Per me, il miglior sport del mondo in assoluto’. E’ iniziata così la storia ovale di Perry-John Parker. Un ragazzo inglese, a modo, che nell’estate del 2015, dopo Edimburgo e Rotherham Titans, decide di accettare l’offerta di un Rovigo ferito. Colpito in casa da Calvisano nell’ultimo atto della stagione. ‘Onestamente, prima di arrivare in Italia, non sapevo nemmeno dove fosse Rovigo’. A John è bastato un campionato – anche meno – per innnamorarsi di quella nuova e sconosciuta realtà. Riportarla al vertice del rugby italiano e al centro di un mondo che, per John, non sarà mai più estraneo.
John, prima stagione a Rovigo e subito scudetto.
‘Il campionato vinto è stato il miglior ricordo della mia carriera. Vincere la finale in casa contro il Calvisano è stato mozzafiato. L’urlo dei tifosi rimarrà dentro di me per sempre’.
Un ricordo indelebile.
‘Alzare al cielo lo scudetto dopo aver ricevuto la medaglia è il più bel ricordo di quella stagione’.
Dagli inizi in Crawley-West Sussex a oggi. Perry-John Parker si volta indietro e cosa vede?
‘Ricordo il giorno che i miei genitori mi hanno accompagnato al campo. Pioveva, ma mi sono subito innamorato di tutto. Non tornerei mai indietro. Il rugby è il miglior sport del mondo, lo giocheranno i miei figli e cercherò di coinvolgere in questo ambiente ogni bambina e bambino che incontrerò’.
Cosa le ha trasmesso negli anni questo sport?
‘Tantissimo. Dal rugby impari anche senza accorgertene. Disciplina, rispetto e un livello di forza mentale che nemmeno pensavi potesse esistere’.
John, c’è un nuovo capitolo di carriera all’orizzonte. Perché in Francia?
‘Ho sempre voluto misurarmi con il rugby francese. Penso che giochino un buon rugby, mischie e rimesse laterali sono di alta qualità. Ottimi pacchetti di mischia che riflettono il livello di fisicità’.
Quali sono le sue aspettative?
‘Voglio lasciare il segno anche in Francia. Mi piacerebbe conquistare il ProD2 e magari la promozione in Top 14, campionato dove sento che potrei offrire qualcosa di importante. Ma per ora l’obiettivo è quello di dare tutto sin dall’inizio con il Dijon’.
Lascia Rovigo dopo tre anni. Un pensiero?
‘Tre anni strepitosi. Da pazzi la prima stagione, quando abbiamo conquistato il titolo. Ho imparato moltissimo e porterò sempre tutto con me. Sono allo stesso tempo triste nel lasciare Rovigo, ambiente al quale mi sono molto legato’.
Cosa ha imparato dall’esperienza italiana?
‘Tantissimo. Il rugby italiano è molto diverso da quello anglosassone, dagli allenamenti, agli andamenti delle partite. Penso di aver raggiungo un nuovo di livello di calma e tranquillità. Ci ho messo tre anni. In Italia skills e aspetti di gioco sono diversi. Ho imparato a stare più calmo e a reagire in maniera diversa rispetto a come ero abituato’.
Cosa ha portato Parker a Rovigo?
‘Un nuovo confine per la mischia del Rovigo, che prima mancava. Sono felice e orgoglioso di quanto fatto e credo di aver lasciato la mischia rossoblu a un livello superiore rispetto al mio arrivo. Abbiamo vinto lo scudetto grazie alla mischia e di questo vado molto orgoglioso’.
Un match che vorrebbe giocare di nuovo.
‘Vorrei giocare ancora contro il Calvisano.  Non ho mai vinto una partita in casa loro. La seconda finale giocata al Peroni Stadium era un’occasione grandissima e l’abbiamo gettata. Una partita che mi ha segnato e che vorrei rigiocare con tutto me stesso’.
Tre aggettivi che descrivono Perry John Parker.
‘Emotivo. Divertente. E che ha cura’.
John, dove si vede in 5 anni?
‘Mi piacerebbe essere un giocatore-allenatore, come ultimo step di carriera. Spero in Francia, magari negli Stati Uniti. Voglio continuare a vivere il mondo del rugby, sport che mi ha dato tantissimo e che è diventato la mia vita’.
E in 10 anni?
‘Vorrei diventare coach degli avanti di una grande squadra. Magari in Italia, chissà. Il mio desiderio è quello di rendere al rugby ciò che ho imparato in questi anni’.
JP, un sogno?
‘Il mio sogno è quello di giocare per l’Italia. Era il mio obiettivo sin dall’inizio. Sono eleggibile e chissà che in futuro, magari se riuscirò a meritarmi il Top 14, non guadagni un cap. Non è facile per uno straniero vivere in Italia, ma ho cercato di imparare lo stile di vita e la cultura del paese. Gli italiani sono brave persone e mi hanno aiutato a vivere al meglio la mia esperienza a Rovigo’.


Oltre 2 milioni di euro per le infrastrutture, ma squadra fatta da giocatori a cui offrire solide radici: Luca Raza ci svela il progetto Centurioni

Sono passati poco più di due anni da quando il Rugby Lumezzane ha detto addio alla Serie A, una ragione sofferta ma motivata da ragioni non certo economiche. In quella Valgobbia che negli anni ’80 era considerata la “valle dell’oro”, anche quando spendono lo fanno con la consapevolezza di poterlo fare, ma i problemi erano ben altri, di infrastrutture, in un territorio che ha sfruttato ogni singolo metro, strappandolo alla montagna, per creare un’officina sopra l’altra, a mancare sono infatti i campi da gioco. Ecco dunque, come un fulmine a ciel sereno l’epilogo di una trattativa e di un braccio di ferro durata anni.

Fu lo stesso presidente Ottorino Bugatti – il patron più longevo del rugby italiano –, a maggio 2016, ad ufficializzare quella voce. Il Lumezzane, club del Bresciano nordoccidentale, con un apparato dirigenziale di imprenditori di “economia reale”, di quelli che gli investimenti li fanno per primi, decide di rinunciare alla serie A dopo due stagioni per ripartire dalla C. Ci dev’essere un motivo serio per aver imboccato questa strada in salita. Tutti pensano ai soldi, quelli che prima o poi finiscono, dicevano. Ma la ragione non era quella e la spiegò senza fronzoli lo stesso Bugatti. E di lui che i patti li ha rispettati sempre è difficile dubitare.

«Il presidente sapeva che c’era bisogno di consolidare i tanti sforzi positivi fatti nei 52 anni di storia precedenti – ci spiega Luca Raza, da due stagioni GM del club, al termine di una carriera da giocatore che, per scelta, fu sempre e solo rossoblu -, ma, al contempo, erano necessarie forze nuove che dessero ulteriore sostanza ad un progetto che non poteva più aggirare l’ostacolo principale, il nodo da sempre irrisolto». Lumezzane è terra di industrie, ma non solo. È una lingua di asfalto stretta tra le montagne, dove costruire non è cosa da tutti. A ciò va aggiunto l’eterno tira e molla con le amministrazioni comunali, oltre ad una scomoda e ingenerosa condizione da figlio di un Dio minoreche il club rossoblu è sempre stato costretto a vivere nei confronti della formazione calcistica del paese (club recentemente retrocesso tra i dilettanti dopo oltre 20 anni tra i professionisti ndr). Tante parole che raccontano di una società da sempre nomade, costretta a svolgere la propria attività su più campi, condivisi con altre squadre e altri sport.

Ma cosa è successo in questi due anni, una sorta di piccola rivoluzione? «Il Rugby Lumezzane ha rafforzato sé stesso dall’interno – continua Raza -, ampliando il consiglio direttivo con altre cinque figure, che hanno contribuito a scrivere un progetto nuovo, che partisse dall’identificazione di una soluzione per le strutture sportive». Proprio in questi giorni, i commissari stanno analizzando il progetto consegnato dal Rugby Lumezzane per il rifacimento di due campi, di cui uno ad uso esclusivo, e la riqualificazione di un edificio ad esso contiguo che dovrebbe diventare la casa del Rugby Lumezzane, ma anche ristorante, centro fisioterapico, tra gli altri. Una soluzione fuori dai confini del comune di casa, ma poco distante, a Villa Carcina. «Dispiace, ma lì abbiamo trovato interlocutori che hanno creduto in noi, e nell’ambito di un impianto sportivo di straordinaria bellezza – continua Raza -. Sarà un investimento da oltre 2 milioni di euro, ma siamo pronti al sacrificio per dare un futuro al club che lì godrà di una posizione centrale in un bacino, quello della Valtrompia, di oltre 120mila persone».

La parola d’ordine per Lumezzane è dunque ampliare la base. «Negli ultimi due anni abbiamo moltiplicato sforzi e competenze sul settore giovanile – continua il giovane manager –. Abbiamo tutte le Under complete per la prima volta nella nostra storia, formazioni Juniores di qualità che si giocano posizioni di vertice. Questo è il nostro zenith». E poi il lavoro nelle scuole, «che nell’anno scolastico in chiusura abbatterà il muro delle 1500 ore di intervento su oltre 60 plessi, dalle scuole dell’infanzia sino agli istituti superiori. Un impegno enorme, ma fondamentale per alfabetizzare i più giovani sulla disciplina e per farci conoscere». Il Rugby Lumezzane – finalmente verrebbe da dire da quanti come noi sono vicini al club da anni – non si accontenta più del mordi e fuggi, «e questa è una politica che abbiamo adottato anche nel mercato per la prima squadra, risalita in B al primo tentativo e che ha chiuso il suo primo anno da matricola immediatamente dietro le squadre che avevano dichiaratamente ambizioni di salita in A». 

Negli anni si è parlato di Lumezzane come un club ricco, quasi leggendario nelle voci da spogliatoio, spesso ingigantite dall’abitudine ovale all’iperbole e da una sorta di verve narrativa che accumuna talvolta pescatori e virtuosi della palla ovale. Di certo c’è che qualcosa comunque sta cambiando, quantomeno in termini di programmazione e di costruzione di un’identità di squadra che forse era mancante. Questo quantomeno dall’identikit del giocatore ricercato dal club rossoblu «è di giovane età, con desiderio di vivere e condividere un’esperienza sportiva, non solo di giocare a rugby – ci svela Raza -. Per questo, oltre ai rimborsi chilometrici, per chi fosse interessato e ne avesse le qualifiche e le caratteristiche, offriamo di collaborare con il nostro Progetto Scuola o negli staff delle nostre giovanili. Oppure, attraverso le aziende nostre partner, possiamo offrire un lavoro che accompagni il giocatore a costruirsi radici vere. Troppi giocatori sono passati da Lumezzane, lasciando poco. Qui cerchiamo persone, prima di tutto, e le trattiamo come tali». Una nuova primavera del club, che cambierà addirittura logo e nome, con tanta voglia di creare e quella concretezza tutta lumezzanese che vuole l’etica del lavoro come qualcosa di sacro. Sul campo in primis, ma anche nella vita delle persone. Spazio dunque alle realtà imprenditoriali del territorio per dare ai ragazzi non la promessa di un “professionismo straccione”, ma una solidità per il futuro.

«Abbiamo voluto strutturare uno staff tecnico con un modello anomalo per il rugby italiano, ma che crediamo possa davvero fare crescere i nostri giocatori – ci racconta poi Raza –. Una struttura che ora vediamo replicarsi in altre realtà: significa che c’è del buono e ne eravamo certi. Diamo vita a progetti innovativi, come il Progetto Motoria, redatto con i nostri collaboratori, dottori in Scienze Motorie, e rivolti ai nostri tesserati più giovani per colmare le sempre più gravi lacune evidenziate negli anni dello sviluppo psicofisico».

Solide basi, molti progetti e una rinnovata identità di club da costruire, a partire da una casa tutta nuova nel cuore della Valtrompia, dunque. «C’è prospettiva di crescita a Lumezzane, ma solo se si vuole lavorare. Del resto, il rugby è principalmente questo, no?».

Lumezzane cambia nome, nascono i Centurioni!

Dopo 54 anni il Rugby Lumezzane volta pagina e cambia nome  e immagine per affrontare nuove sfide, nascono così I Centurioni Rugby, «una nuova realtà, con 54 anni di storia».  Qualcosa era nell’aria da tempo tra la Valgobbia e la Valtrompia, ma per rendere il tutto ufficiale il club tuttora guidato dall’imprenditore Ottorino Bugatti ha atteso questo caldo giugno, questo il comunicato diffuso ieri:

I Centurioni Rugby: una nuova realtà, con 54 anni di storia
Il club rossoblu guidato dal presidente Bugatti cambia nome e immagine per affrontare nuove sfide

Il percorso di cambiamento del Rugby Lumezzane, iniziato nella tarda primavera del 2016, mette a segno un ulteriore importante intermedio. Il club guidato da Ottorino Bugatti – presidente più longevo del rugby italiano – con l’iscrizione alla stagione 2018/2019 che avverrà nel mese di luglio, prenderà il nome di I Centurioni. Una denominazione che rimanda alla tradizione romana, già presente nell’immagine e nella comunicazione recente del Rugby Lumezzane, e che rispecchia le origini della Valtrompia, colonia in grado di ritagliarsi un ruolo di rilievo grazie alla produzione di armi e armature derivante dalla tradizione secolare di lavorazione dei metalli, della quale sono tutt’ora presenti testimonianze.

Il Centurione era un sottoufficiale dell’esercito romano e guidava la sua truppa denominata centuria. Per farlo, necessitava di qualità specifiche, riconducibili a tenacia e intelligenza. Caratteristiche che sono fondamentali anche nella disciplina del rugby: sport di contatto, ma normato da un fitto sistema di regole e nel quale, da una giusta strategia e dal rispetto delle stesse, passa buona parte del successo finale.

Inoltre, l’etimologia di centurione vede proprio nel termine centuria la propria origine. Un nome, quindi, che nasce da quello del suo gruppo, della sua truppa. E questo è il messaggio al quale il club rossoblu crede fortemente: il valore del collettivo – che è maggiore di quello della somma dei singoli – e lo spirito di appartenenza devono essere il fondamento della vita della squadra, di tutti i suoi componenti.

Si tratta di un profondo cambiamento, ma in continuità e in rispetto della storia del Rugby Lumezzane. Un legame incarnato dalle persone che lo compongono, rimaste le medesime, ma anche presente nella nuova immagine del club.
Nel logo de I Centurioni (in alto), infatti, permangono i colori sociali, gli insostituibili rosso e blu e il 1964 – anno di nascita del club valgobbino -.

Questo cambiamento rientra nel progetto di rafforzamento delle basi societarie iniziato due anni fa. Dal termine della stagione 2015/2016, la dirigenza del club ha registrato l’entrata di quattro nuovi consiglieri, l’aumento costante e significativo dei tesserati, e ha favorito e investito nell’implementazione di iniziative rivolte al settore giovanile, con l’avvio dell’innovativo Progetto Motoria e di un Progetto Scuola da record (oltre 60 plessi scolastici coinvolti a Lumezzane, in Valtrompia e Valsabbia, comprendenti dalle scuole dell’infanzia fino agli istituti superiori per un totale di interventi condotto dal nostro staff tecnico superiore alle 1.500 ore).

Tra i punti imprescindibili fissati nel progetto di rilancio del club compare l’identificazione di una soluzione definitiva alla cronica assenza di una struttura sportiva adeguata alle esigenze di quasi 300 tesserati e ad uso esclusivo. Anche in quest’ottica è parso necessario operare un cambiamento di identità.

Nella stagione da poco conclusa, infatti, la convenzione sottoscritta con il Comune di Villa Carcina per l’uso e la manutenzione del Centro sportivo “Dei Pini” dove si è svolta parte dell’attività del club ha generato significativi mutamenti, tanto nei numeri quanto nelle caratteristiche.

Al termine di una sola stagione agonistica, i tesserati residenti nei comuni di Villa Carcina, Sarezzo e Gardone Valtrompia rappresentano circa il 30% del totale. Quota che sale significativamente se vi si sommano quelli residenti in altri paesi limitrofi. Allo stesso tempo, gli associati di Lumezzane sono scesi attorno al 40%, a dimostrazione di una popolazione interna ben più disomogenea del passato recente e non più ad esclusiva trazione valgobbina.

Inoltre, la società, nella veste di promotrice del bando per la concessione dei lavori di riqualificazione dell’impianto sportivo, con relativa gestione trentennale, auspica di potervi identificare una soluzione logistica definitiva per il proprio futuro. Se il progetto presentato dal club verrà considerato rispettoso dei requisiti richiesti, il futuro della società si costruirà necessariamente fuori dal comune di Lumezzane.

Anche per questo motivo il club ha adottato un nome che sia in grado di includere maggiormente anche gli attuali membri, così come quelli che verranno, in rispetto della comunità che, come da auspici della società, li ospiterà e con la quale si potrebbe scrivere una pagina tutta nuova della propria storia.

«Il cambiamento che stiamo affrontando lo considero una rifondazione su una base solida, impregnata di 54 anni di storia e dell’impegno generoso dei tantissimi volontari che hanno fornito il loro insostituibile contributo – commenta il presidente Ottorino Bugatti -. La maggiore soddisfazione è che in tutti questi anni, e anche nel futuro che ci attende, continueremo a rispettare i valori che ci ha trasmesso il nostro fondatore, il professore Bruno Menta. Un sistema di principi che è stato cristallizzato in un Codice etico al quale tutti i tesserati saranno sempre chiamati ad attenersi. Approfitto di questo momento di cambiamento per ringraziare tutti coloro che, sin dal lontano 1954, hanno lavorato con straordinario impegno per la crescita e lo sviluppo della nostra società e del rugby in questa zona della provincia di Brescia».

Il Vecchio Continente riabbraccia Alejandro Canale. Il coach in Super Liga Rumena alla guida del Baia Mare

Uno sguardo alla partita, forse, lo lancerà. In campo, a contendersi il tricolore, uno spicchio del suo passato. All’ombra del Plebiscito, Padova e Calvisano. Due team che Alejandro Canale ha vissuto in qualità di Direttore Sportivo e Generale. ‘Vedo una finale incerta. Forse Calvisano non ha espresso tutto il suo potenziale mentre Padova, seppur con meno esperienza in match così, è in un ottimo stato di forma. Non so se seguirò, ma mi informerò sul vincitore’. Occhi e cuore saranno rivolti altrove, alla Super Liga Rumena. Canale infatti da pochi giorni si è trasferito in Romania per guidare la CSM Ştiinţa Baia Mare. Capo allenatore, come non gli accadeva da un po’. Dopo l’esperienza da Direttore Sportivo dell’Unión Cordobesa, ‘El Negro’ non ha resistito al ritorno in Europa. Sul tavolo, la proposta del club rumeno che oggi affronterà la CSA Steaua Bucaresti nella prima semifinale del torneo.
Alejandro, torna in panchina in Europa in un campionato in crescita. Come si sta preparando a questa nuova avventura?
‘Sinceramente non penso che serva una preparazione particolare. Ci sono degli accorgimenti propri di queste situazioni ma la sto vivendo con grande tranquilità e felicità visto che ho trovato un club organizzato e ben disposto ad accogliermi’.
L’ultimo ruolo vissuto a Cordoba era più organizzativo. Le è tornata la voglia di campo?
‘In realtà il mio ruolo prevedeva una partecipazione piuttosto tecnica se si pensa che tutta la struttura faceva capo al ruolo che ricoprivo. Il rugby in Argentina è molto cambiato e mi ha entusiasmato sin dall’inizio la metodologia e i contenuti tecnici che si applicano’.
Cosa si aspetta da questo nuovo ruolo?

‘Ho grande entusiasmo e voglia di fare.  Mi auguro di poter contribuire agli obiettivi del CSM Baia Mare’.
Ha già uno staff?
‘Sono arrivato una settimana prima della semifinale e ho trovato uno staff già presente. Stiamo lavorando in perfetta sintonia nel rispetto degli obiettivi e dei ruoli di ognuno’.
Dopo un’importante esperienza in Italia era tornato in Argentina per un ruolo altrettanto affascinante a Cordoba. Come mai la decisione di tornare in Europa?
‘Ero tornato in Argentina attirato e motivato dal nuovo ruolo. Essere il primo Direttore Tercnico full time della mia provincia (Còrdoba) era qualcosa di impensabile qualche tempo fà per me. Mi ha arricchito sia tecnicamente che umanamente. Ho continuato a studiare e ho frequentato un corso di gestione sportiva all’università. E’ stato veramente bellissimo. Ma l’ho vissuta come un’esperienza a tempo. La mia vita è in Italia’.
Come è cambiato negli anni il Canale allenatore?

‘Ho continuato a studiare e aggiornarmi anche se in campo sono andato poco. Credo che il tempo mi abbia regalato maggior serenità e preparato a gestire in modo adeguato le diverse situazioni e il rapporto con le persone’.
C’è stato un allenatore che ha aiutato il suo percorso di crescita come coach?

‘Nessuno in particolare. Mi piace cogliere e imparare gli aspetti positivi di tutti gli allenatori che incontro’.
Cosa cerca di trasmettere ai suoi ragazzi?
‘Come coach, siamo innanzitutto “formatori”. Quindi cerco di trasmettere i valori che questo sport ci offre’.
Quale sarà il suo prossimo passo?

‘Non lo so. Mi piace collaborare e prendere parte a progetti’.
Dove sarà Alejandro Canale tra 5 anni?
‘Eh, manca tanto! Mi piacerebbe essere vicino alla mia Treviso’.
Una caratteristica che tutti gli sportivi devono avere.
‘Essere competitivi! Ma nel rispetto delle regole e dei valori dello sport’.
Un pregio di Alejandro Canale?
‘Cerco di essere sempre coerente con me stesso. Ma dovrebbero dirlo gli altri…’.
Un difetto?
‘Non saprei…’.
Tornerà mai ad allenare in Italia?

‘Certo! Ero vicino alla firma con un club per la prossima stagione ma alla fine non se ne è fatto nulla’.

(foto sito CSM Ştiinţa Baia Mare)

A tu per tu con Jean Marcelin Rorato: il numero nove ‘casinista’

Sul sito del San Donà Jean Marcelin si descrive come casinista. Imprevedibile. Caratteristiche indispensabili per chi si aggira attorno a un pacchetto di giganti e, con la palla in mano, decide in un istante come impostare il gioco della squadra. Ma lo spirito di Rorato è accompagnato anche dalla calma che la vita gli ha trasmesso grazie alle sue certezze. Il pensiero alla mamma adottiva e a chi, nel suo percorso di crescita, lo ha aiutato a diventare un giovane uomo. Jean Marcelin Rorato, oggi, con i suoi 28 anni, è un veterano di un Eccellenza sempre in evoluzione. Dopo 15 anni di San Donà, proverà in Toscana, ai Medicei, a realizzare il suo primo sogno ovale. Il secondo, magari, tra qualche anno. Haiti, certamente, lo aspetterà.  
Partiamo dalla stagione da poco conclusa, a un passo dai play off. Come giudica il cammino del San Donà?

‘Non è facile descrivere questa stagione, gli obiettivi erano alti, ma avevamo la squadra giusta per centrarli. Sono deluso per come è finita, avevamo il potenziale per arrivare i play off’.
Il percorso è stato comunque interessante.
‘Quest’anno si è visto un ottimo San Donà, siamo riusciti a compiere diverse imprese: abbiamo vinto il Trofeo Eccellenza, sconfitto Calvisano, Rovigo, Viadana, siamo andati vicino alla vittoria a Padova’.
Cosa è mancato?
‘Forse un po’ di maturità. Il ‘vincere le partite che più contano’, come nella parte iniziale della stagione o nelle sfide con Fiamme Oro e Reggio alla fine’.
Quale sarà il suo prossimo passo?
‘Riuscire a migliorare sempre per dimostrare di essere un ottimo mediano di mischia. Dal prossimo anno giocherò in una nuova squadra e dopo 15 anni a San Donà per me sarà un grande cambiamento. Dovrò imparare a gestire meglio i miei tempi e gli spazi in un nuovo ambiente. Spero di giocare molto e dimostrare il mio livello’.
Come è iniziato il suo percorso con il rugby?
‘A 11 anni ero un bambino esuberante, ai miei genitori venne consigliato di farmi praticare uno sport. Mio padre mi portò al campo di San Donà. Ricordo ancora quel giorno. Dopo il primo colpo ricevuto da un compagno più grande di me, decisi che non volevo mollare. Quella stessa settimana partecipai al mio primo torneo’.
Quale è il suo obiettivo di carriera?
‘Voglio giocare e vincere i play off’.
Hobby oltre al rugby?
‘Mi piace praticare diversi sport. Calcio, Basket, faccio Yoga. Adoro poi camminare in montagna, sciare o usare lo snowboard’.
E se non pratica sport?
‘Mi piacciono tanti generi musicali, seguo molte serie televisive e mi piace guardare film. E, certo, anche riposare…’.
La persona alla quale pensa sempre prima di entrare in campo.
‘La mia mamma adottiva, che è venuta a mancare nel 2011. I miei pensieri sono sempre per lei. Così come per nonna Amelita e Suor Anna, che mi hanno aiutato a essere la persona che sono oggi’.
Il compagno di squadra più disordinato?
‘Non saprei. In spogliatoio non ho mai fatto caso a questo. Forse, alla fine, sono proprio io’.
Il compagno di squadra più ordinato?
‘Penso Jaco Erasmus, però ci sono anche Paul Derbyshire, James Ambrosini, Andrea Pratichetti, Andrea Michelini, Matteo Falsaperla, tutti molto precisi e ordinati sia nelle loro postazioni in spogliatoio che in campo’.
Il compagno di squadra con il quale nessuno vuole sedere nel pullman durante le trasferte.

‘Ci sono compagni che chiacchierano molto, ma la maggior parte delle volte ascoltano musica o riposano gli occhi, concentrandosi sulla partita’.
Se Jean Marcelin non fosse un giocatore di rugby, cosa sarebbe?
‘Probabilmente sarei un soldato o semplicemente solo un giardiniere. O magari un insegnante di ginnastica, mi piace trasmettere la passione dello sport ai ragazzi, a scuola se ne pratica sempre meno’.
Quali sono i suoi obiettivi di vita quando saluterà il rugby giocato?
‘Non ci ho mai pensato. Un desiderio, comunque, ci sarebbe. Quello di ritornare ad Haiti e riavvicinarmi alle mie origini, magari aiutando a far conoscere meglio il rugby anche sull’isola’. (foto sito San Donà e profilo Facebook Jean Marcelin Rorato)

 

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