Imola Rugby Promosso in B. Raffin: «Traguardo inaspettato, i ragazzi sono stati eccezionali»

Veni, vidi, vici. La più celebre frase della cultura latina riassume alla perfezione la stagione vissuta da Stefano Raffin, Direttore Tecnico dell’Imola Rugby: sbarcato in Romagna l’estate scorsa, dopo diverse avventure in realtà importanti della palla ovale italiana, il dirigente rossoblù ha ricoperto un ruolo di primissimo piano nella cavalcata trionfale della squadra di Sermenghi, fresca di promozione in serie B. Non solo come figura di collegamento tra staff tecnico e vertici dirigenziali, ma anche nella preparazione sotto l’aspetto atletico della squadra, rivelatosi questo come uno dei punti di forza principali della compagine romagnola.

Stefano Raffin al lavoro sul campo

Imola che non a caso, è spesso riuscita nell’arco del campionato a mantenere costantemente elevata l’intensità del proprio gioco: «Credo che la bassa età media della squadra (oscillante intorno ai 22-23 anni) si sia rivelata un’arma fondamentale, – spiega Raffin- visto che in numerose occasioni siamo riusciti a prevalere sugli avversari soprattutto dal punto di vista atletico. Inoltre va fatto un plauso ai ragazzi, che si sono mostrati sin dalle prime settimane di allenamento coesi e in armonia, sia in campo che fuori. Grazie alla forza del gruppo siamo riusciti a superare i pochi (per fortuna) momenti di difficoltà».Raffin:

17 vittorie su 18 partite disputate, miglior attacco e miglior difesa in entrambe le fasi del campionato: l’Imola Rugby si è rivelata una vera e propria corazzata, mai realmente impensierita dalle dirette concorrenti. «Parlando sinceramente, nessuno in società si aspettava un risultato simile- rivela il direttore tecnico rossoblù – l’estate scorsa ci eravamo prefissati di puntare alla promozione entro tre anni. Eppure ci siamo riusciti al primo, grazie alla maturità e alla crescita di questi ragazzi eccezionali: tra tutti, vorrei citare Sabbioni, Bianconcini e Ottavi, che mi hanno veramente stupito per forza continuità di rendimento. Dentro di me, dopo la vittoria della Poule 1, sapevo che ci saremmo giocati fino all’ultimo la Promozione».

Nel successo dell’Imola Rugby, una firma importante è stata quella di coach Sermenghi, abilissimo nel plasmare una squadra dalla mentalità vincente, in grado di imporre il proprio gioco: «Fabio ha fatto un lavoro eccellente, mi ha colpito soprattutto la sua cura quasi maniacale nel preparare le partite. Dal mio punto di vista un grande contributo è stato dato dall’intera dirigenza, che è sempre stata vicino alla squadra nel corso dell’annata»

17 vittorie su 18 partite disputate, miglior attacco e miglior difesa del campionato

Ora è tempo di festeggiare la promozione ottenuta tra tanto sudore e fatica, ma in casa Imola Rugby l’obbiettivo è fare bene anche nella categoria superiore. Raffin, non a caso, ha già le idee chiare: «L’intenzione primaria è quella di consolidarci in serie B. Nella prossima annata mi auguro una crescita, di pari passo con la Prima Squadra, da parte della formazione Under 18. Questa è stata una stagione di transizione per il nostro settore giovanile, che ha ampi margini di miglioramento: il mio lavoro nei due anni futuri sarà concentrato infatti sullo sviluppo di rugbisti in erba e sulla formazione dei tecnici».

Chiosa finale riservata ai ringraziamenti: «Dedico la vittoria del campionato a mia figlia, alla quale tolgo tanto tempo a causa del mio amore per la palla ovale, e a mio padre: è grazie a lui infatti che mi sono avvicinato a questo bellissimo mondo che mi sta dando tante soddisfazioni».

A tu per tu con Perry-John Parker, bersagliere tricolore. ‘Ciao Rovigo, mi hai insegnato tanto’

Una domenica di pioggia nel sud dell’Inghilterra. Perry-John, appena 4 anni, viene accompagnato al campo dai suoi genitori. Il freddo e l’umido non lo scoraggiano. ‘Ho amato il rugby sin dal primo istante. Per me, il miglior sport del mondo in assoluto’. E’ iniziata così la storia ovale di Perry-John Parker. Un ragazzo inglese, a modo, che nell’estate del 2015, dopo Edimburgo e Rotherham Titans, decide di accettare l’offerta di un Rovigo ferito. Colpito in casa da Calvisano nell’ultimo atto della stagione. ‘Onestamente, prima di arrivare in Italia, non sapevo nemmeno dove fosse Rovigo’. A John è bastato un campionato – anche meno – per innnamorarsi di quella nuova e sconosciuta realtà. Riportarla al vertice del rugby italiano e al centro di un mondo che, per John, non sarà mai più estraneo.
John, prima stagione a Rovigo e subito scudetto.
‘Il campionato vinto è stato il miglior ricordo della mia carriera. Vincere la finale in casa contro il Calvisano è stato mozzafiato. L’urlo dei tifosi rimarrà dentro di me per sempre’.
Un ricordo indelebile.
‘Alzare al cielo lo scudetto dopo aver ricevuto la medaglia è il più bel ricordo di quella stagione’.
Dagli inizi in Crawley-West Sussex a oggi. Perry-John Parker si volta indietro e cosa vede?
‘Ricordo il giorno che i miei genitori mi hanno accompagnato al campo. Pioveva, ma mi sono subito innamorato di tutto. Non tornerei mai indietro. Il rugby è il miglior sport del mondo, lo giocheranno i miei figli e cercherò di coinvolgere in questo ambiente ogni bambina e bambino che incontrerò’.
Cosa le ha trasmesso negli anni questo sport?
‘Tantissimo. Dal rugby impari anche senza accorgertene. Disciplina, rispetto e un livello di forza mentale che nemmeno pensavi potesse esistere’.
John, c’è un nuovo capitolo di carriera all’orizzonte. Perché in Francia?
‘Ho sempre voluto misurarmi con il rugby francese. Penso che giochino un buon rugby, mischie e rimesse laterali sono di alta qualità. Ottimi pacchetti di mischia che riflettono il livello di fisicità’.
Quali sono le sue aspettative?
‘Voglio lasciare il segno anche in Francia. Mi piacerebbe conquistare il ProD2 e magari la promozione in Top 14, campionato dove sento che potrei offrire qualcosa di importante. Ma per ora l’obiettivo è quello di dare tutto sin dall’inizio con il Dijon’.
Lascia Rovigo dopo tre anni. Un pensiero?
‘Tre anni strepitosi. Da pazzi la prima stagione, quando abbiamo conquistato il titolo. Ho imparato moltissimo e porterò sempre tutto con me. Sono allo stesso tempo triste nel lasciare Rovigo, ambiente al quale mi sono molto legato’.
Cosa ha imparato dall’esperienza italiana?
‘Tantissimo. Il rugby italiano è molto diverso da quello anglosassone, dagli allenamenti, agli andamenti delle partite. Penso di aver raggiungo un nuovo di livello di calma e tranquillità. Ci ho messo tre anni. In Italia skills e aspetti di gioco sono diversi. Ho imparato a stare più calmo e a reagire in maniera diversa rispetto a come ero abituato’.
Cosa ha portato Parker a Rovigo?
‘Un nuovo confine per la mischia del Rovigo, che prima mancava. Sono felice e orgoglioso di quanto fatto e credo di aver lasciato la mischia rossoblu a un livello superiore rispetto al mio arrivo. Abbiamo vinto lo scudetto grazie alla mischia e di questo vado molto orgoglioso’.
Un match che vorrebbe giocare di nuovo.
‘Vorrei giocare ancora contro il Calvisano.  Non ho mai vinto una partita in casa loro. La seconda finale giocata al Peroni Stadium era un’occasione grandissima e l’abbiamo gettata. Una partita che mi ha segnato e che vorrei rigiocare con tutto me stesso’.
Tre aggettivi che descrivono Perry John Parker.
‘Emotivo. Divertente. E che ha cura’.
John, dove si vede in 5 anni?
‘Mi piacerebbe essere un giocatore-allenatore, come ultimo step di carriera. Spero in Francia, magari negli Stati Uniti. Voglio continuare a vivere il mondo del rugby, sport che mi ha dato tantissimo e che è diventato la mia vita’.
E in 10 anni?
‘Vorrei diventare coach degli avanti di una grande squadra. Magari in Italia, chissà. Il mio desiderio è quello di rendere al rugby ciò che ho imparato in questi anni’.
JP, un sogno?
‘Il mio sogno è quello di giocare per l’Italia. Era il mio obiettivo sin dall’inizio. Sono eleggibile e chissà che in futuro, magari se riuscirò a meritarmi il Top 14, non guadagni un cap. Non è facile per uno straniero vivere in Italia, ma ho cercato di imparare lo stile di vita e la cultura del paese. Gli italiani sono brave persone e mi hanno aiutato a vivere al meglio la mia esperienza a Rovigo’.


Oltre 2 milioni di euro per le infrastrutture, ma squadra fatta da giocatori a cui offrire solide radici: Luca Raza ci svela il progetto Centurioni

Sono passati poco più di due anni da quando il Rugby Lumezzane ha detto addio alla Serie A, una ragione sofferta ma motivata da ragioni non certo economiche. In quella Valgobbia che negli anni ’80 era considerata la “valle dell’oro”, anche quando spendono lo fanno con la consapevolezza di poterlo fare, ma i problemi erano ben altri, di infrastrutture, in un territorio che ha sfruttato ogni singolo metro, strappandolo alla montagna, per creare un’officina sopra l’altra, a mancare sono infatti i campi da gioco. Ecco dunque, come un fulmine a ciel sereno l’epilogo di una trattativa e di un braccio di ferro durata anni.

Fu lo stesso presidente Ottorino Bugatti – il patron più longevo del rugby italiano –, a maggio 2016, ad ufficializzare quella voce. Il Lumezzane, club del Bresciano nordoccidentale, con un apparato dirigenziale di imprenditori di “economia reale”, di quelli che gli investimenti li fanno per primi, decide di rinunciare alla serie A dopo due stagioni per ripartire dalla C. Ci dev’essere un motivo serio per aver imboccato questa strada in salita. Tutti pensano ai soldi, quelli che prima o poi finiscono, dicevano. Ma la ragione non era quella e la spiegò senza fronzoli lo stesso Bugatti. E di lui che i patti li ha rispettati sempre è difficile dubitare.

«Il presidente sapeva che c’era bisogno di consolidare i tanti sforzi positivi fatti nei 52 anni di storia precedenti – ci spiega Luca Raza, da due stagioni GM del club, al termine di una carriera da giocatore che, per scelta, fu sempre e solo rossoblu -, ma, al contempo, erano necessarie forze nuove che dessero ulteriore sostanza ad un progetto che non poteva più aggirare l’ostacolo principale, il nodo da sempre irrisolto». Lumezzane è terra di industrie, ma non solo. È una lingua di asfalto stretta tra le montagne, dove costruire non è cosa da tutti. A ciò va aggiunto l’eterno tira e molla con le amministrazioni comunali, oltre ad una scomoda e ingenerosa condizione da figlio di un Dio minoreche il club rossoblu è sempre stato costretto a vivere nei confronti della formazione calcistica del paese (club recentemente retrocesso tra i dilettanti dopo oltre 20 anni tra i professionisti ndr). Tante parole che raccontano di una società da sempre nomade, costretta a svolgere la propria attività su più campi, condivisi con altre squadre e altri sport.

Ma cosa è successo in questi due anni, una sorta di piccola rivoluzione? «Il Rugby Lumezzane ha rafforzato sé stesso dall’interno – continua Raza -, ampliando il consiglio direttivo con altre cinque figure, che hanno contribuito a scrivere un progetto nuovo, che partisse dall’identificazione di una soluzione per le strutture sportive». Proprio in questi giorni, i commissari stanno analizzando il progetto consegnato dal Rugby Lumezzane per il rifacimento di due campi, di cui uno ad uso esclusivo, e la riqualificazione di un edificio ad esso contiguo che dovrebbe diventare la casa del Rugby Lumezzane, ma anche ristorante, centro fisioterapico, tra gli altri. Una soluzione fuori dai confini del comune di casa, ma poco distante, a Villa Carcina. «Dispiace, ma lì abbiamo trovato interlocutori che hanno creduto in noi, e nell’ambito di un impianto sportivo di straordinaria bellezza – continua Raza -. Sarà un investimento da oltre 2 milioni di euro, ma siamo pronti al sacrificio per dare un futuro al club che lì godrà di una posizione centrale in un bacino, quello della Valtrompia, di oltre 120mila persone».

La parola d’ordine per Lumezzane è dunque ampliare la base. «Negli ultimi due anni abbiamo moltiplicato sforzi e competenze sul settore giovanile – continua il giovane manager –. Abbiamo tutte le Under complete per la prima volta nella nostra storia, formazioni Juniores di qualità che si giocano posizioni di vertice. Questo è il nostro zenith». E poi il lavoro nelle scuole, «che nell’anno scolastico in chiusura abbatterà il muro delle 1500 ore di intervento su oltre 60 plessi, dalle scuole dell’infanzia sino agli istituti superiori. Un impegno enorme, ma fondamentale per alfabetizzare i più giovani sulla disciplina e per farci conoscere». Il Rugby Lumezzane – finalmente verrebbe da dire da quanti come noi sono vicini al club da anni – non si accontenta più del mordi e fuggi, «e questa è una politica che abbiamo adottato anche nel mercato per la prima squadra, risalita in B al primo tentativo e che ha chiuso il suo primo anno da matricola immediatamente dietro le squadre che avevano dichiaratamente ambizioni di salita in A». 

Negli anni si è parlato di Lumezzane come un club ricco, quasi leggendario nelle voci da spogliatoio, spesso ingigantite dall’abitudine ovale all’iperbole e da una sorta di verve narrativa che accumuna talvolta pescatori e virtuosi della palla ovale. Di certo c’è che qualcosa comunque sta cambiando, quantomeno in termini di programmazione e di costruzione di un’identità di squadra che forse era mancante. Questo quantomeno dall’identikit del giocatore ricercato dal club rossoblu «è di giovane età, con desiderio di vivere e condividere un’esperienza sportiva, non solo di giocare a rugby – ci svela Raza -. Per questo, oltre ai rimborsi chilometrici, per chi fosse interessato e ne avesse le qualifiche e le caratteristiche, offriamo di collaborare con il nostro Progetto Scuola o negli staff delle nostre giovanili. Oppure, attraverso le aziende nostre partner, possiamo offrire un lavoro che accompagni il giocatore a costruirsi radici vere. Troppi giocatori sono passati da Lumezzane, lasciando poco. Qui cerchiamo persone, prima di tutto, e le trattiamo come tali». Una nuova primavera del club, che cambierà addirittura logo e nome, con tanta voglia di creare e quella concretezza tutta lumezzanese che vuole l’etica del lavoro come qualcosa di sacro. Sul campo in primis, ma anche nella vita delle persone. Spazio dunque alle realtà imprenditoriali del territorio per dare ai ragazzi non la promessa di un “professionismo straccione”, ma una solidità per il futuro.

«Abbiamo voluto strutturare uno staff tecnico con un modello anomalo per il rugby italiano, ma che crediamo possa davvero fare crescere i nostri giocatori – ci racconta poi Raza –. Una struttura che ora vediamo replicarsi in altre realtà: significa che c’è del buono e ne eravamo certi. Diamo vita a progetti innovativi, come il Progetto Motoria, redatto con i nostri collaboratori, dottori in Scienze Motorie, e rivolti ai nostri tesserati più giovani per colmare le sempre più gravi lacune evidenziate negli anni dello sviluppo psicofisico».

Solide basi, molti progetti e una rinnovata identità di club da costruire, a partire da una casa tutta nuova nel cuore della Valtrompia, dunque. «C’è prospettiva di crescita a Lumezzane, ma solo se si vuole lavorare. Del resto, il rugby è principalmente questo, no?».

Il Vecchio Continente riabbraccia Alejandro Canale. Il coach in Super Liga Rumena alla guida del Baia Mare

Uno sguardo alla partita, forse, lo lancerà. In campo, a contendersi il tricolore, uno spicchio del suo passato. All’ombra del Plebiscito, Padova e Calvisano. Due team che Alejandro Canale ha vissuto in qualità di Direttore Sportivo e Generale. ‘Vedo una finale incerta. Forse Calvisano non ha espresso tutto il suo potenziale mentre Padova, seppur con meno esperienza in match così, è in un ottimo stato di forma. Non so se seguirò, ma mi informerò sul vincitore’. Occhi e cuore saranno rivolti altrove, alla Super Liga Rumena. Canale infatti da pochi giorni si è trasferito in Romania per guidare la CSM Ştiinţa Baia Mare. Capo allenatore, come non gli accadeva da un po’. Dopo l’esperienza da Direttore Sportivo dell’Unión Cordobesa, ‘El Negro’ non ha resistito al ritorno in Europa. Sul tavolo, la proposta del club rumeno che oggi affronterà la CSA Steaua Bucaresti nella prima semifinale del torneo.
Alejandro, torna in panchina in Europa in un campionato in crescita. Come si sta preparando a questa nuova avventura?
‘Sinceramente non penso che serva una preparazione particolare. Ci sono degli accorgimenti propri di queste situazioni ma la sto vivendo con grande tranquilità e felicità visto che ho trovato un club organizzato e ben disposto ad accogliermi’.
L’ultimo ruolo vissuto a Cordoba era più organizzativo. Le è tornata la voglia di campo?
‘In realtà il mio ruolo prevedeva una partecipazione piuttosto tecnica se si pensa che tutta la struttura faceva capo al ruolo che ricoprivo. Il rugby in Argentina è molto cambiato e mi ha entusiasmato sin dall’inizio la metodologia e i contenuti tecnici che si applicano’.
Cosa si aspetta da questo nuovo ruolo?

‘Ho grande entusiasmo e voglia di fare.  Mi auguro di poter contribuire agli obiettivi del CSM Baia Mare’.
Ha già uno staff?
‘Sono arrivato una settimana prima della semifinale e ho trovato uno staff già presente. Stiamo lavorando in perfetta sintonia nel rispetto degli obiettivi e dei ruoli di ognuno’.
Dopo un’importante esperienza in Italia era tornato in Argentina per un ruolo altrettanto affascinante a Cordoba. Come mai la decisione di tornare in Europa?
‘Ero tornato in Argentina attirato e motivato dal nuovo ruolo. Essere il primo Direttore Tercnico full time della mia provincia (Còrdoba) era qualcosa di impensabile qualche tempo fà per me. Mi ha arricchito sia tecnicamente che umanamente. Ho continuato a studiare e ho frequentato un corso di gestione sportiva all’università. E’ stato veramente bellissimo. Ma l’ho vissuta come un’esperienza a tempo. La mia vita è in Italia’.
Come è cambiato negli anni il Canale allenatore?

‘Ho continuato a studiare e aggiornarmi anche se in campo sono andato poco. Credo che il tempo mi abbia regalato maggior serenità e preparato a gestire in modo adeguato le diverse situazioni e il rapporto con le persone’.
C’è stato un allenatore che ha aiutato il suo percorso di crescita come coach?

‘Nessuno in particolare. Mi piace cogliere e imparare gli aspetti positivi di tutti gli allenatori che incontro’.
Cosa cerca di trasmettere ai suoi ragazzi?
‘Come coach, siamo innanzitutto “formatori”. Quindi cerco di trasmettere i valori che questo sport ci offre’.
Quale sarà il suo prossimo passo?

‘Non lo so. Mi piace collaborare e prendere parte a progetti’.
Dove sarà Alejandro Canale tra 5 anni?
‘Eh, manca tanto! Mi piacerebbe essere vicino alla mia Treviso’.
Una caratteristica che tutti gli sportivi devono avere.
‘Essere competitivi! Ma nel rispetto delle regole e dei valori dello sport’.
Un pregio di Alejandro Canale?
‘Cerco di essere sempre coerente con me stesso. Ma dovrebbero dirlo gli altri…’.
Un difetto?
‘Non saprei…’.
Tornerà mai ad allenare in Italia?

‘Certo! Ero vicino alla firma con un club per la prossima stagione ma alla fine non se ne è fatto nulla’.

(foto sito CSM Ştiinţa Baia Mare)

A tu per tu con Jean Marcelin Rorato: il numero nove ‘casinista’

Sul sito del San Donà Jean Marcelin si descrive come casinista. Imprevedibile. Caratteristiche indispensabili per chi si aggira attorno a un pacchetto di giganti e, con la palla in mano, decide in un istante come impostare il gioco della squadra. Ma lo spirito di Rorato è accompagnato anche dalla calma che la vita gli ha trasmesso grazie alle sue certezze. Il pensiero alla mamma adottiva e a chi, nel suo percorso di crescita, lo ha aiutato a diventare un giovane uomo. Jean Marcelin Rorato, oggi, con i suoi 28 anni, è un veterano di un Eccellenza sempre in evoluzione. Dopo 15 anni di San Donà, proverà in Toscana, ai Medicei, a realizzare il suo primo sogno ovale. Il secondo, magari, tra qualche anno. Haiti, certamente, lo aspetterà.  
Partiamo dalla stagione da poco conclusa, a un passo dai play off. Come giudica il cammino del San Donà?

‘Non è facile descrivere questa stagione, gli obiettivi erano alti, ma avevamo la squadra giusta per centrarli. Sono deluso per come è finita, avevamo il potenziale per arrivare i play off’.
Il percorso è stato comunque interessante.
‘Quest’anno si è visto un ottimo San Donà, siamo riusciti a compiere diverse imprese: abbiamo vinto il Trofeo Eccellenza, sconfitto Calvisano, Rovigo, Viadana, siamo andati vicino alla vittoria a Padova’.
Cosa è mancato?
‘Forse un po’ di maturità. Il ‘vincere le partite che più contano’, come nella parte iniziale della stagione o nelle sfide con Fiamme Oro e Reggio alla fine’.
Quale sarà il suo prossimo passo?
‘Riuscire a migliorare sempre per dimostrare di essere un ottimo mediano di mischia. Dal prossimo anno giocherò in una nuova squadra e dopo 15 anni a San Donà per me sarà un grande cambiamento. Dovrò imparare a gestire meglio i miei tempi e gli spazi in un nuovo ambiente. Spero di giocare molto e dimostrare il mio livello’.
Come è iniziato il suo percorso con il rugby?
‘A 11 anni ero un bambino esuberante, ai miei genitori venne consigliato di farmi praticare uno sport. Mio padre mi portò al campo di San Donà. Ricordo ancora quel giorno. Dopo il primo colpo ricevuto da un compagno più grande di me, decisi che non volevo mollare. Quella stessa settimana partecipai al mio primo torneo’.
Quale è il suo obiettivo di carriera?
‘Voglio giocare e vincere i play off’.
Hobby oltre al rugby?
‘Mi piace praticare diversi sport. Calcio, Basket, faccio Yoga. Adoro poi camminare in montagna, sciare o usare lo snowboard’.
E se non pratica sport?
‘Mi piacciono tanti generi musicali, seguo molte serie televisive e mi piace guardare film. E, certo, anche riposare…’.
La persona alla quale pensa sempre prima di entrare in campo.
‘La mia mamma adottiva, che è venuta a mancare nel 2011. I miei pensieri sono sempre per lei. Così come per nonna Amelita e Suor Anna, che mi hanno aiutato a essere la persona che sono oggi’.
Il compagno di squadra più disordinato?
‘Non saprei. In spogliatoio non ho mai fatto caso a questo. Forse, alla fine, sono proprio io’.
Il compagno di squadra più ordinato?
‘Penso Jaco Erasmus, però ci sono anche Paul Derbyshire, James Ambrosini, Andrea Pratichetti, Andrea Michelini, Matteo Falsaperla, tutti molto precisi e ordinati sia nelle loro postazioni in spogliatoio che in campo’.
Il compagno di squadra con il quale nessuno vuole sedere nel pullman durante le trasferte.

‘Ci sono compagni che chiacchierano molto, ma la maggior parte delle volte ascoltano musica o riposano gli occhi, concentrandosi sulla partita’.
Se Jean Marcelin non fosse un giocatore di rugby, cosa sarebbe?
‘Probabilmente sarei un soldato o semplicemente solo un giardiniere. O magari un insegnante di ginnastica, mi piace trasmettere la passione dello sport ai ragazzi, a scuola se ne pratica sempre meno’.
Quali sono i suoi obiettivi di vita quando saluterà il rugby giocato?
‘Non ci ho mai pensato. Un desiderio, comunque, ci sarebbe. Quello di ritornare ad Haiti e riavvicinarmi alle mie origini, magari aiutando a far conoscere meglio il rugby anche sull’isola’. (foto sito San Donà e profilo Facebook Jean Marcelin Rorato)

 

A tu per tu con Leonardo Mantelli, il giovane veterano dei Bersaglieri

Leonardo parla di onore e privilegio. Pressione e responsabilità. Sentimenti forti che accompagnano il suo quotidiano da Bersagliere. Ma Leonardo, tra le righe, racconta anche di divertimento e leggerezza. Serenità di chi, poco più che ventenne, indossa con disinvoltura la divisa rossoblu. Il 10 sulla schiena non pesa più. A guidarlo in campo, la spinta di Chiara e del babbo ‘sempre presente alle mie partite’. Leonardo Mantelli, apertura cresciuta nel Prato, ha imparato presto cosa significa guidare il Rovigo in cabina di regia. Un privilegio, un onore, un divertimento, che il giovanissimo regista vivrà anche oggi pomeriggio in gara uno di semifinale scudetto. Per continuare a scrivere la sua personale storia colorata di rossoblu.
Leonardo, il 10 dei Bersaglieri sulle spalle. Sente la responsabilità della maglia?
‘Vestire la maglia del Rovigo non è facile, penso che la numero 10 sia una delle più pesanti. In passato questo club ha avuto aperture fortissime e vestirla è una grande onore e privilegio’.
Si è adattato in fretta…
‘All’inizio mi stava ‘un po’ larga’. Adesso è tutto molto più normale’.
Cosa significa essere un rugbista a Rovigo?
‘Come termine di paragone è come essere un giocatore della Juventus a Torino. La pressione è alta a ogni partita, ma proprio questo è il bello. Il calore dei tifosi è sicuramente l’aspetto più bello della città’.
Un giocatore di rugby dal quale ha cercato di trarre ispirazione.
‘Sono cresciuto con il mito di Jonny Wilkinson. Penso di conoscere ogni cosa di lui. Per me è stata una gran fonte di ispirazione’.
Quale è stato il momento, durante il suo percorso ovale, dove ha capito che il rugby sarebbe diventata la sua professione.
‘Quando ero in Accademia. Allora ho capito che avrei voluto veramente diventare un giocatore professionista. E con la chiamata di Rovigo, tutto questo si è realizzato’.
Dove ritiene di poter migliorare?
‘La difesa non è il mio punto forte, ma penso di essere migliorato molto rispetto a qualche anno fa. Sto lavorando molto per avere meno difetti possibili’.
Un suo punto forte?
‘Penso sia il gioco al piede, sia nei piazzati che nel gioco di territorio. Poi sicuramente la gestione della squadra e il passaggio’.
Come vive le sue giornate, rugby a parte?
‘Il rugby è la parte fondamentale della mia vita. La mia ragazza vive a Londra, però quando riesco faccio il possibile per raggiungerla. Poi mi piace trascorrere il tempo libero con i compagni di squadra’.
Una persona che non manca mai di seguire le sue partite.
‘Sicuramente il mio babbo. Non riesco a ricordare l’ultima volta che non sia venuto a vedermi, mi segue sempre, sia in casa che in trasferta’.
Un ringraziamento speciale va rivolto a…
‘Vorrei ringraziare tutta la mia famiglia che ha fatto tanti sacrifici per farmi arrivare dove sono adesso. E Chiara, la mia ragazza, che mi sostiene ogni giorno e mi aiuta a non mollare mai, sia nei momenti belli che in quelli brutti’.
Una partita che vorrebbe giocare.
‘La finale scudetto di quest’anno contro il Petrarca’.
Una partita che vorrebbe giocare nuovamente.
‘L’ultima partita di regular season contro il Petrarca’.
Caratteristiche che deve avere un mediano di apertura moderno.

‘Sicuramente la gestione della squadra, deve essere un leader, punto di riferimento per tutti i giocatori; poi, deve saper prendere decisioni importanti in momenti difficili e sotto pressione. Queste sono sicuramente le prerogative fondamentali per l’alto livello’.
Un mediano di apertura contro il quale le farebbe piacere confrontarsi.

‘Sarebbe stato Wilkinson…Dico Beauden Barret, perché significherebbe giocare con la Nazionale contro gli All Blacks’.
Un giudizio sul cammino del Rovigo e un pensiero sull’obiettivo di stagione.
‘Il giudizio è sicuramente positivo. Abbiamo perso 3 partite in un anno, tutte e tre fuori casa, di cui una di due punti a Calvisano – tra l’altro, il miglior risultato ottenuto da Rovigo negli ultimi 3 anni. Sono molto contento, siamo arrivati terzi in regular season; certo, avevamo la possibilità di arrivare primi all’ultima giornata, ma siamo comunque ai playoff. L’obiettivo è la finale, siamo ancora in gioco. Sono davvero felice e non vedo l’ora di giocare queste ultime partite’.
Quale sarà il prossimo passo di Leonardo Mantelli?
‘Voglio guardare al presente e pensare al quotidiano. Sto lavorando molto per migliorare ogni giorno’.
(foto profilo Facebook Leonardo Mantelli)

A tu per tu con Michele Zanirato: rugby e fitness sotto il cielo inglese per l’MZ9 rossoblu

Una stagione. Una partita. Un solo minuto. A Michele basterebbe anche un sospiro di rossoblu per coronare e salutare con un sorriso la sua carriera. ‘Credo non sia realisticamente possibile, ma se accadesse, ripagherebbe tutto il tempo che ho passato ad allenarmi, cercando sempre di dare il massimo per ogni club nel quale ho giocato’. Oggi la realtà di Michele Zanirato, 31 anni, si chiama Inghilterra. Tonbridge. L’ex mediano di mischia della Rugby Rovigo ha continuato nel Kent la sua carriera ovale, iniziata in rossoblu e poi continuata a Piacenza e Badia. Un secondo ritorno a Rovigo – 2010/2013 – è poi seguito da un nuovo addio. Ai Bersaglieri. All’Italia. In Inghilterra Michele – Miky o, come lo ricorderanno sempre i suoi amici e compagni della Monti Rovigo, Michelino -, ha continuato a scaricare ovali dalla mischia ai tre quarti, dettando i tempi e gestendo i palloni dai piedi dei raggruppamenti. ‘Forse giocherò ancora una stagione’, sussurra. Nel suo futuro, MZ9 Fitness – Fit & Fun Bootcam, business dedicato all’attività fisica all’aperto e i campi estivi – MZ9 Rugby Camp -, per i giovani rugbisti. E chissà che, tra una lezione di fitness e una sessione si skills, Michele non riesca a regalarsi quell’ultimo minuto in maglia rossoblu.


Michele, di cosa si occupa in Inghilterra?
‘Insieme a mio fratello Marco (foto) gestisco la mia compagnia MZ9 Fitness – Fit & Fun Bootcamp. E’ il nostro programma di allenamento di gruppo nei parchi. Al momento svolgiamo questa attività in quattro diverse città e in poche settimane apriremo una struttura mobile che ci permetterà di svolgere un’attività di Crossfit/Bootcamp all’aperto’.
Un’attività che vi vede impegnati anche a scuola.

‘Sì, gestiamo un progetto di sports coaching in una scuola privata dove insegnano calcio, rugby, cricket e atletica’.
Quindi c’è l’MZ9 Rugby Camp.

‘Durante l’anno lavoriamo all’organizzazione dei nostri summer camps, in Italia e non solo. Cerchiamo di proporre qualche novità ogni anno. Quest’estate faremo un Camp a Roma, due Camp dedicati alle ragazze, uno solo per il Seven e uno in Ucraina’.
Come è nata l’idea dei campus, che pubblicizzate attraverso il
sito e la pagina Facebook MZ9 Rugby Camp?
‘MZ9 Rugby Camp, quest’anno alla sesta stagione è nato dalla volontà di insegnare la lingua inglese affiancato alla possibilità di giocare a rugby durante l’estate, considerato che i club interrompono l’attività. I ragazzi che partecipano hanno la possibilità di allenarsi con coach, giocatori ed ex giocatori qualificati provenienti da Nuova Zelanda, Sudafrica, Australia, Francia, Inghilterra. I nostri camp puntano a migliorare le skills individuali, la conoscenza dell’inglese e di nuove culture’.
Quando – e perché – si è trasferito in Inghilterra?
‘Vivo nel Regno Unito da quasi 5 anni. Al termine della mia terza stagione a Rovigo sentivo il bisogno di coronare due desideri: imparare l’inglese e giocare a rugby in un’altra nazione’.
Aveva l’Inghilterra come obiettivo?
‘No, non era mai stata nella mia lista. Ma nella vita non si sa mai e quando ho deciso, nel giro di 10 giorni sono entrato in contatto con un club inglese, ho fatto le valige e sono partito’.
Come vive la sua quotidianità inglese?
‘Mi sento fortunatissimo perché il mio lavoro è un insieme di passioni. Le mie giornate trascorrono tra allenamenti personali di crossifit, rugby, nuoto, mountain bike, corsa. Non mi faccio mancare nulla. Alleno bambini e adulti tra parchi e scuola’.
Quali obiettivi ha per la sua vita personale e professionale?

‘Ne ho tanti. Dalla famiglia alla crescita della nostra attività e del marchio. Ogni giorno ho tante nuove idee riguardo l’aspetto professionale. Un passo alla volta…’.  
In Italia, Piacenza, Badia, Rovigo. Ripensa mai alla sua carriera da professionista?

‘Sempre, soprattutto in questo periodo durante il quale il rugby a 15 sta passando per me in secondo piano. Non mi diverto più come dovrei e credo che questa sarà la mia ultima stagione. Continuerò con il rugby 7s estivo, mi diverte troppo. Mi mancano soprattutto gli anni passati a Rovigo’.
Si è formato rugbisticamente in Italia, ma ha continuato il suo percorso di sviluppo in Inghilterra. Quali sono le maggiori differenze che ha notato tra i due mondi ovali? 
‘Il rugby inglese è vastissimo. Penso ci siano più di 15 livelli. Dove ho giocato io – dal quarto al sesto -, il livello di organizzazione dei club è molto superficiale e viene dedicato poco tempo agli allenamenti  (un paio di volte alla settimana). C’è comunque un enorme bacino di giocatori di ottimo livello’.
Due lati della stessa medaglia…
‘Sì, ho conosciuto poca professionalità da parte dei club a livello organizzativo. Però ci sono tanti ottimi giocatori che mantengono alto il livello’.
Continuerà in futuro a vivere il mondo del rugby?  
‘Certamente. MZ9 Rugby Camp è un progetto a lungo termine grazie al quale vogliamo avviare un programma annuale dedicato soprattutto al Rugby 7s. A breve farò anche il corso per allenatori 7s’.
Carriera da coach?
‘Allenare un club non è tra i miei desideri, ma mi piacerebbe avere un ruolo specifico per lo sviluppo delle skills individuali e della preparazione atletica’.

(foto profilo Facebook Michele Zanirato)

 

‘Ricco di emozioni e di vita, non di denaro’. Così Psalm Wooching ha scelto il rugby (e salutato l’NFL)

‘I legami che crei con i tuoi fratelli rugbisti non hanno paragoni. Dentro e fuori dal campo. Preferisco arricchirmi di bei momenti ed esperienze di vita piuttosto che di denaro’. Psalm Wooching è nato alle Hawaii 24 anni fa. Nelle vene, sangue samoano. Una filosofia di vita legata alle tradizioni della sua isola e tatuata sul corpo, come un mantra: ‘Possano il vento e l’oceano guidare la tua canoa’. ‘La canoa, il vento, l’oceano possono essere paragonate a tante cose – ci spiega Psalm Wooching -, come la famiglia, Dio, gli sforzi e il duro lavoro’.

Di lavoro e sacrifici Psalm ne ha compiuti parecchi. Dalle prime apparizioni con gli Hawaii’s Kona Bulls – club con il quale ha iniziato a giocare a rugby alle Hawaii -, al percorso scolastico vissuto poi negli Stati Uniti alla University of Washington. Negli States Psalm indossa anche elmetto e armatura per la squadra di football della scuola. Non è per lui una novità. Un primo passo infatti era già avvenuto alle Hawaii, alla Kealakeha High School.

Talento e fisicità non mancano. Da linebacker  – e da capitano – il giovane isolano trascina la sua squadra al quarto posto in classifica tra tutti i team universitari dello Stato. Così, il suo telefono comincia a squillare. ‘Ricevevo una trentina di chiamate e messaggi al giorno da tantissimi agenti – racconta -. Mi dicevano: ‘Posso rappresentarti? Ogni team di NFL sta chiedendo di te’.

Per Psalm Wooching si sta aprendo un mondo. Ricco e di successo. In vista del draft NFL – il sistema che permette alle squadre di scegliere i giocatori in uscita dai college -, il suo nome è sul taccuino di molti club.

Ma lui, capisce che il vento e l’oceano stanno spingendo la sua canoa in un’altra direzione. E così, il 16 febbraio dello scorso anno annuncia la decisione di abbandonare il sentiero dorato del football americano per concentrarsi sul suo primo e vero amore, il rugby. ‘Non c’è stato un momento specifico dove ho preso questa decisione. Ho pensato e pregato tanto – racconta Wooching a Rugbymercato.it -. E’ stata una scelta dura all’inizio, considerato che tutto il lavoro fatto mi spingeva verso una carriera in NFL’.

Al suo fianco, la sua compagna di vita, Courtney Gano e tutta la sua famiglia. ‘Erano molto sorpresi all’inizio – ricorda – e volevano che ci ripensassi. Poi però hanno capito vedendo quanto ero felice’.

Nonostante nel suo cuore Psalm Wooching ha sempre saputo di aver preso la decisione giusta, molti attorno a lui hanno tentato di riportarlo sulla via del football. ‘Anche ultimamente è accaduto, ma ho fatto una scelta e continuerò a sostenerla’.

E lo scorso 17 febbraio, a un anno esatto dal suo ‘cambio di vita’, Psalm Wooching ha debuttato ufficialmente con le Eagles nel match di American Rugby Championship contro il Cile. ‘Un momento che non dimenticherò mai. Ho sempre saputo che il rugby è lo sport della mia vita’.

Il prossimo step per il giocatore dei Seattle Saracens, che la scorsa estate ha vestito la maglia degli Harlequins al Beachcomber World Club 10s alle Mauritius, si chiama Europa. ‘Ora voglio continuare questo percorso. Il mio obiettivo principale adesso è quello di giocare in Europa e diventare il miglior giocatore e compagno di squadra possibile, sia dentro che fuori dal campo. Voglio creare un ambiente vincente attorno a me’.

Guidato dal vento e dall’oceano…
(foto sito Harlequins e Seattle Saracens)

 

 

Rugby e comunicazione: Elvis Lucchese, el sabor ovale tra le note della sua penna

Il semaforo verde sul Sei Nazioni. Il campionato destinato a entrare nella sua fase più calda. All’orizzonte, un Mondiale dove l’Italia cercherà ancora una volta di regalarsi una gioia mai vissuta. Eppure per Elvis il mondo della palla ovale ha perso el sabor. ‘O forse sono io che non lo trovo più…’. Lui, Elvis Lucchese, raffinato giornalista del Corriere figlio della terra ovale, il sapore lo trova spesso nella ricerca. Ricerca di un rugby passato, fondamenta di uno sport che molto deve alla passione veneta. Capitolo per capitolo, pagina per pagina, parola per parola. Le opere di Elvis lasciano sempre un sabor particolare, risultato che – senza perder di vista il filo conduttore ovale – regala ai lettori un gusto che travalica il semplice piacere della lettura.
Elvis, nell’ultimo periodo si è ‘staccato’ dalla quotidianità ovale. Motivi?
‘Un po’ per motivi personali, un po’ perché mi sembra che nel rugby di oggi manchi qualcosa. Ci sono fisico, schei, spettacolo, eppure non c’è, come direbbero in Messico, el sabor. O perlomeno sono io che non lo trovo più, quel qualcosa che rendeva il rugby speciale. Per me ormai è solamente uno sport come gli altri. Da tre o quattro anni a questa parte l’unica volta che mi sono veramente emozionato a una partita è stato al Battaglini per lo scudetto del Rovigo, quindi nel maggio 2016. Quella sera lì c’era davvero el sabor…’.
Recentemente ha pubblicato il suo ultimo scritto, ‘Sport di combattimento. Gli esordi del rugby in Veneto, 1927-1945’. E’ sempre molto legato alla territorialità del rugby veneto: quali sono i fattori che la spingono a iniziare una ricerca in una determinata area?
‘Mi sono sempre occupato di rugby veneto solo perché questa è la mia regione. Ma sono certo che occuparsi del rugby di Catania, L’Aquila o Frascati sia altrettanto affascinante. Come ogni giornalista, ho sempre cercato delle storie significative da raccontare. Nel mondo trovo interessante come il rugby si sia inserito nelle dinamiche sociali, con analogie e ma soprattutto grandi differenze fra paese e paese. Non ho nessun progetto specifico all’orizzonte’.
In un’intervista ha detto che le piacerebbe continuare la ricerca della storia sociale in Veneto fino ai giorni nostri. E’ il suo prossimo passo?
‘Per fare ricerca seriamente servono molte energie e molto tempo. Se in futuro trovassi dei fondi per questo impegno, sì, certamente mi piacerebbe scrivere una storia del rugby in Veneto. Gli spunti sono molti’.
Un aspetto che ha attirato la sua attenzione in merito all’evoluzione sociale della palla ovale (veneta o italiana).
‘Alla fine degli anni Trenta, quando in Italia non si sapeva neppure cosa fosse, il rugby a Rovigo muoveva già intense passioni. Nel gennaio del ’41 ci fu addirittura una squalifica del campo e dei due Battaglini per l’intera stagione, con accuse pesantissime di “tifo deleterio” da parte del presidente della Federazione. Mentre i pionieri del rugby si davano arie da lord inglesi, sbandierando fair play e dilettantismo, a Rovigo si voleva vincere e basta. Sugli stessi temi in Inghilterra, nel nord operaio, si era consumato lo scisma del XIII. Dall’approccio “plebeo” di Rovigo (approccio che peraltro mi sta molto simpatico) si può partire per molte considerazioni sull’evoluzione seguente del rugby in Veneto’.
Il libro che non manca mai sul suo comodino.
‘Un libro di rugby? Non ne tengo sul comodino… Semmai “Libera nos a malo” di Meneghello, un capolavoro che mi fa anche sempre ridere’.
Una meta che non ha ancora segnato.
‘Assistere a una finale dei Mondiali’.
Un traguardo che vorrebbe raggiungere.
‘Vedere una partita dal vivo in Georgia. O in Siberia. O alle Fiji. Vabbè, anche alle Samoa o in Madagascar…’.
La squadra, italiana o straniera, per la quale prova più affetto.
‘Oddio, ce ne sono diverse. Amavo il Toulon prima che diventasse quella specie di Paris Saint Germain che è ora. Mi sono innamorato del rugby “Razza Piave” giocato a San Donà negli anni Ottanta e Novanta. Soprattutto ci sono molte persone del rugby per le quali provo grande affetto. Alcuni sono ormai amici, altri li conosco appena ma mi ispirano una enorme energia positiva. Ad esempio Ino Pizzolato, da 45 anni l’anima della Tarvisium, una persona che incarna tutto il meglio del mondo del rugby: generosità, umiltà, voglia di fare gruppo. Un allenatore di altissimo livello, peraltro’.
Capitolo giornalismo. Per tanti anni ha raccontato il rugby dalle pagine del Corriere. Elvis, nel 2018 si può vivere di giornalismo ovale in Italia?
‘L’interesse per il rugby in Italia è senz’altro cresciuto dal 2000, ma viene spesso sovrastimato perché si considerano solo i picchi del Sei Nazioni mentre l’attenzione del grande pubblico andrebbe misurata sulla media dell’intera stagione. C’è un altro enorme ostacolo, che l’Italia e i club italiani perdono sempre. Per alimentare l’interesse servirebbe vincere regolarmente, e magari vincere una volta qualcosa di importante. In definitiva non mi sembra che ci sia ancora un “mercato” di lettori come in Francia o in Regno Unito. Fermo restando che in Italia si legge poco e che negli ultimi anni si legge soprattutto sul web, quindi… gratis. In ogni caso, come insegna il successo di Buffa, lo sport bisogna conoscerlo a fondo e saperlo raccontare, questo rimane il compito del giornalista sportivo’.
Un sentiero giornalistico che a suo avviso non è ancora stato battuto.
‘Ce ne sono senz’altro. Ma ci sono ormai anche infinite testate, blog, pagine facebook che si occupano di rugby e producono infiniti “contenuti”. La questione di fondo non riguarda cosa, ma come. Quando Cechov, che pure era un aristocratico, volle raccontare le colonie penali della Russia zarista, viaggiò da Mosca a Sachalin e lì rimase per nove mesi… Di qualsiasi sentiero si tratti, non sono ammesse scorciatoie’.
Al principio del Sei Nazioni e a un anno dal Mondiale, come giudica la situazione di salute del rugby italiano?
‘Beh, da un punto di vista sportivo, il rugby italiano è clinicamente morto. E’ cioè una realtà tenuta in vita artificialmente: se partecipiamo al Sei Nazioni e alle Coppe Europee è per interessi commerciali, non certo per i risultati ottenuti sul campo secondo i quali, di fatto, siamo un paese di Tier 2. A 18 anni dall’ingresso del Sei Nazioni non si vede ancora nessuna vera programmazione tecnica di ampio respiro: neppure il progetto delle Accademie è stato condotto fino in fondo, come era auspicabile almeno per coerenza. Invece la base è molto vivace, nascono continuamente molti club, ma si tratta di aggregazione, promozione. Il cosiddetto “alto livello” sta peggio di dieci anni fa, anche se senz’altro O’Shea è stata un’ottima scelta’.
Se potesse cambiare una sola cosa – o influenzarla con un suo pensiero – nel mondo del rugby italiano, cosa farebbe?
‘Un rilancio in grande stile del campionato’.
(foto profilo Facebook Elvis Lucchese)

A tu per tu con Gonzalo Padrò: la vita ordinaria di un ragazzo straordinario

Gonzalo Padrò è un ragazzo straordinario. Unico, nella sua normalità. Semplice, ma al tempo stesso eccezionale. Come la sua carriera, iniziata in Europa grazie alla chiamata del Rovigo, che conosceva ancora poco le qualità del gigante di Tucuman. ‘Mi chiamò Canale, così decisi di partire…’. Ci avrebbe messo poco a convincere i nuovi tifosi delle sue qualità. Tecniche. E umane. Buitre ha vissuto con intensità tutte le maggiori realtà venete – oltre ai Bersaglieri, Padova, Treviso, San Donà, Mogliano -, sconfinando poi a Viadana e quindi marciando verso Roma, sponda Lazio. E in tutte le sue tappe tricolori – impreziosite anche da una stagione a Biarritz -, ha lasciato il segno, in campo e fuori. Con passione, dedizione. E sorrisi. Tanti. Tutti ricorderanno il percorso italiano di Gonzalo Buitre Padrò. Un giocatore raffinato. Una persona non comune.


Gonzalo, un nuovo capitolo sportivo all’orizzonte. Come è nata questa opportunità?
‘Giocherò a Siviglia, per il Ciencias Cajasol. Ho avuto la fortuna di trasferirmi grazie a una borsa di studio e a un lavoro. Penso sia una buona occasione, considerata la mia età e le prospettive lavorative future’.
Ha avuto proposte dall’Eccellenza?
‘Sì, tuttavia dopo quello che è successo a Mogliano ho pensato che fosse finito un ciclo per me’.
In Italia ha vissuto tante esperienze. Da Rovigo a Roma, da Treviso a Viadana, passando per Padova, San Donà e Mogliano. Ricorda come tutto è iniziato in Polesine?
‘Certo, grazie ad Alejandro Canale che al tempo allenava i bersaglieri. Mi conosceva da quando ero bambino e mi chiese se volevo vivere un’esperienza in Europa. E’ cominciato tutto così’.


In carriera, anche l’esperienza a Biarritz. Cosa ricorda della stagione in Francia?
‘Un’esperienza incredibile, ho imparato tantissimo. In squadra, 12 compagni giocavano nella Nazionale francese. Ero molto giovane, ma sono cresciuto tanto grazie a loro e allo staff tecnico’.
Negli anni, come è cambiato il Padrò giocatore?
‘Sono arrivato in Europa con il background di un giocatore amatoriale, che praticava rugby con gli amici per divertimento. All’inizio ho faticato a intendere il rugby come professione. L’esperienza da professionista mi ha fatto migliorare poi sia fisicamente che tecnicamente’.
E il Gonzalo persona?
‘E’ cresciuto molto e velocemente. Al mio arrivo ero molto giovane, non vivevo più con i miei genitori e ho dovuto imparare un’altra lingua in fretta. Tutti aspetti che ti ‘aprono’ la testa e ti fanno maturare. Sei da solo e devi imparare ad affrontare la vita. Dopo 12 anni mi sento una persona matura che sa bene cosa vuole’.
L’avversario più difficile da affrontare che ha incontrato in carriera.
‘Ho affrontato tanti giocatori fortissimi. Paul O’connell, Joe Rokocoko, Imanol Harinordoquy. Non riuscirei a nominarli tutti. Quello che ho ammirato di più però è stato Carlos Spencer’.
Cosa le lascerà l’esperienza italiana?
‘Tante cose. La più importante, le persone che ho conosciuto e gli amici che ho incontrato. Una famiglia che mi ha accolto, gente straordinaria che porterò sempre con me. Non dimenticherò mai l’Italia, un paese bellissimo’.
Sportivamente?
‘Tanti bellissimi ricordi. Ho giocato contro le più forti squadre d’Europa, ho visto stati bellissimi e pieni di gente, dove tutti respiravano rugby. E ho avuto al mio fianco tantissimi compagni dai quali ho imparato tanto’.
Il compagno di squadra più simpatico. E quello più disordinato.
‘Stessa persona. Gianmarco Vian. Anche il più matto. Abbiamo stretto un’amicizia molto forte. Ci sono comunque molti altri amici…’.
Gonzalo, cosa farà da grande?
‘Sono già grande (ride)…Mi piacerebbe continuare a vivere il rugby, magari come allenatore. Poi sono appassionato di gastronomia, sicuramente punterò su quello’.
Ritornerà in Italia?
‘Sempre. E’ la mia seconda casa, dove sono nati i miei nonni, dove lascio tanta gente che voglio bene. Mi mancherà. Ma tornerò’.
(foto profili Facebook Gonzalo Padrò)

 

 

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