‘Un giorno, alcuni mesi fa, mi sono seduto a un tavolo con Warren Gatland e Danny Wilson. Li ho guardati negli occhi dicendogli che non ero sicuro di voler continuare a giocare a rugby. Ho parlato onestamente, confessando le preoccupazioni che avevo in merito al mio corpo. ‘Ho una figlia – pensavo – e voglio continuare a tenerla in braccio e andare al mare con lei’. Dubitavo di poter continuare a giocare’. Trent’anni ancora da compiere. Una carriera da leader vissuta vestendo tre maglie: Cardiff Blues, Galles e Lions. La possibilità di diventare leggenda per il rugby mondiale. L’amore per il rugby. Tutto questo a Sam Warburton non interessava più. Troppo il dolore. Troppa la paura di dover rinunciare alle gioie regalate dalla sua vita familiare.
Così, all’inizio della stagione, al termine di una normale sessione di contatto con i suoi compagni, l’ennesimo incidente ha riempito di dubbi la testa e il cuore della formidabile terza linea. ‘Ho chiesto allo staff medico una risonanza al collo – ha raccontato il gigante alla stampa inglese -. Non volevo più fare nessun tipo di placcaggio. Ne avevo abbastanza’. Prevedibili gli esiti degli esami. Operazione per ridurre il danno, riposo e recupero. E proprio in quel periodo, vuoto di rugby ma pieno di domande, Sam riempie le giornate con pensieri riguardo il futuro. ‘Dopo l’operazione mi sono chiesto se valeva la pena sottoporre il mio corpo a tutto questo – ha confessato -. Quando ti sottoponi a interventi così, firmi un modulo dove accetti rischi e possibili conseguenze. Tra queste, anche la paralisi. E’ un rischio molto piccolo, ma c’è’.
Passano le settimane, il dolore scompare. Nel frattempo, la revisione del gigante dei Blues rimette a nuovo anche il ginocchio. ‘Ora ne ho uno nuovo, mi sento benissimo’, sorride. Il fisico risponde. E così la testa. ‘Sono arrivato alla conclusione che il mio spirito non era ok perché non lo era il mio corpo. Ora mi sento bene e mi rendo conto che terminare la carriera sarebbe stato prematuro. Ho ancora due o tre anni di buon rugby da offrire’. E ancora più abbracci da regalare a sua figlia. (foto sito WRU)