Squadre cadette e circolazione degli atleti: quando il regolamento Fir non tiene conto della realtà

Continua a far discutere la regola inserita nella circolare informativa federale 2016/2017 che fissa le direttive delle squadre cadette e la circolazione degli atleti tra i due team. Il derby di Serie C2 tra Rovigo e Frassinelle disputato qualche settimana fa in Polesine ha riproposto la delicata questione che, in questa stagione, era già stata portata alla luce in altre circostanze (anche nella sfida tra Villadose e Caimani di inizio ottobre).

I FATTI

Chiariamo che i club citati in questione hanno sfruttato la situazione nel pieno rispetto delle norme, ma il riproporsi di tale condizione offre la possibilità di analizzare nuovamente il regolamento e le lacune che lo stesso presenta.

L’articolo 1 della sezione che regolamenta l’attività delle squadre cadette recita chiaro.

Le società che partecipano al Campionato di Eccellenza, Serie A, Serie B e Serie C girone 1,  hanno  la  facoltà  di  iscrivere  una  seconda  squadra  seniores  (squadra cadetta)  ad  un  campionato  di  livello  inferiore  a  quello  in  cui  è  iscritta  la  1^ squadra’.

Le società dunque devono presentare due liste separate di 50 atleti (25 per ogni team), compresi giocatori under 23 (nati cioè tra il 1994 e il 1999), specificando obbligatoriamente la squadra di appartenenza degli stessi. Gli under 23 invece, sono di libera circolazione tra le due formazioni.

Il punto 5 della stessa sezione chiarisce poi un aspetto fondamentale dell’utilizzo degli atleti.

Il  giocatore  iscritto  nella  lista  della  squadra  cadetta,  potrà  essere  utilizzato nella attività della prima squadra per non più di 4 volte dal momento che dalla quinta utilizzazione lo stesso sarà iscritto d’ufficio nella lista della prima  squadra  e  non  potrà  essere  utilizzato  nella  attività  cadetta  pena l’applicazione dell’art. 29 Regolamento di Giustizia’.

Una sorta di limitazione, dunque, per quei giocatori che vengono utilizzati con più frequenza in prima squadra. E proprio questo aspetto della regola offre lo spunto di analizzare tale frangente, a nostro avviso (troppo) sottovalutato a livello federale.

Prendendo l’esempio del derby polesano, Rovigo ha portato in distinta cinque giocatori che regolarmente si allenano con la prima squadra. Tradotto: tra i sei e gli otto allenamenti alla settimana in un club tra i più attrezzati a livello di strutture e professionale sotto tutti i punti di vista. Giocatori che poi sono scesi in campo contro ragazzi, quelli di Frassinelle, che vivono una realtà amatoriale, allenandosi due/tre volte alla settimana. Un confronto impari, in una categoria non professionistica dove un paio di elementi di livello certamente fanno la differenza e sono in grado – quando utilizzati – di indirizzare il match a proprio favore.

Senza contare poi che, dalla libera circolazione dei giocatori under 23 (quindi senza restrizioni di presenze con la prima squadra) possono diventare protagonisti elementi che, con l’Eccellenza (e magari con le competizioni europee) hanno già una discreta confidenza.

L’aspetto sportivo tuttavia passa in secondo piano se l’analisi si focalizza sulla sicurezza degli atleti. Può essere equilibrato il confronto tra un giocatore che, fisicamente, si prepara al match con metodi professionali (allenandosi due volte al giorno e beneficiando delle tecniche di allenamento di un club professionistico) e un altro che, per scelte di vita, possibilità o semplici capacità, vede il rugby come pura passione da vivere al termine di una giornata lavorativa?

Allontanando il focus dal caso specifico – e ribadendo il pieno diritto delle squadre di sfruttare questo aspetto regolamentare -, rimane il dubbio che, come è spesso accaduto in passato, gli organi federali, impostando questo tipo di regolamento, non abbiano appieno inquadrato le differenze strutturali che separano le diverse categorie.

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