Il marketing e la comunicazione nello sport. Lo scenario dell’entertainment business

Questo libro sviluppa un’analisi di quelle che sono le caratteristiche relative al nuovo orizzonte delle società sportive che, anche, a seguito della “Riforma Draghi”, relativa ai mercati mobiliari italiani, agli inizi del terzo millennio, hanno acquisito i connotati di organizzazioni profit.
Ne è derivata l’opportunità che le società sportive siano gestite come attività di entertainment che necessitino, veramente, di un approccio orientato al marketing e alla comunicazione. Tale approccio consiste, fra le altre, nell’applicazione di politiche di marketing, merchandising e sponsorship che rendano possibile l’organizzazione di un’offerta del prodotto spettacolo sportivo adeguata alla domanda proveniente dai mercati.
È, inoltre, importante verificare come gli atleti siano, sempre di più, valorizzati in qualità di testimonial delle aziende che, non a caso, decidono di supportare eventi sportivi. Tra le società sportive, quelle calcistiche rappresentano un caso meritevole di approfondimento, insieme, ad alcune storie di successo relative al marketing e alla comunicazione nello sport.
Il volume è caratterizzato da un approccio all’argomento semplice e diretto tale da poter essere una guida non solo per i consulenti, i professionisti e gli addetti ai lavori, ma anche per tutti gli appassionati.

L’autore partendo dalla legge 586/96 che ha sancito la distribuzione degli utili alle società professionistiche, pone l’accento sul fatto che, per competere in un contesto fortemente competitivo, le società non possono prescindere dall’attuare politiche di marketing mirate a incrementare il fatturato. Non solo diritti tv e incassi da botteghino, ma anche politiche di sviluppo del brand per creare maggiore appeal, attrarre sponsor e confezionare un prodotto interessante in un mercato internazionale.
Nel libro viene dedicato ampio spazio alle sponsorizzazioni e alla comunicazioneaffinché risultino efficaci ed efficienti per tutti i soggetti interessati. Dopo una prima parte descrittiva sulle caratteristiche e sui vari aspetti di una sponsorizzazione, si apre una sezione molto interessante riguardante la valutazione, il monitoraggio, i criteri di selezione di una partnership e l’identificazione dei format sia da parte dello sponsor che dello sponsee.
Le sponsorizzazioni sono una fonte di ricavo importante per il mondo dello sport, ma anche un’opportunità per molte aziende di legare il proprio nome a un evento, un campione o una società sportiva, al fine di promuovere un prodotto, potenziare l’immagine, conquistare segmenti di mercato e ampliare la clientela.
Oggi le sponsorizzazioni sportive, come scrive Giangreco, “… sono diventate parte di una strategia di marketing globale e integrata, non soltanto dell’azienda sponsor, ma anche della società sportiva, che, sempre di più, hanno costruito, insieme, progetti sinergici, contraddistinti da forme di collaborazione economica e organizzativa”.
Lo sviluppo della dimensione economica dello sport ha evidenziato come i grandi campioni sono un efficace mezzo di comunicazione, e molte aziende o società sportive, hanno compreso le potenzialità di questi personaggi facendoli entrare, sempre più spesso, nelle strategie di marketing.
Le leve del marketing mix Price (prezzo), Product (prodotto), Place (Distribuzione), Promotion (Comunicazione) applicate anche nella gestione di un atleta o nell’organizzazione di un evento per una strategia vincente, in un contesto, quello attuale, caratterizzato dalle nuove tecnologie che ricoprono un ruolo fondamentale negli scenari moderni legati alla comunicazione.
Nella parte finale del libro vengono analizzate delle interessanti storie di successo relative al marketing e alla comunicazione nel mondo dello sport, per meglio comprendere le teorie esaminate attraverso casi pratici e reali.

Eccellenza, Serie A, Serie B… questione di nomi e non solo

Prendo spunto da un articolo pubblicato da Il Messaggero a firma Paolo Ricci Bitti, uno che il rugby italiano lo conosce bene e le segue da tempo, per toccare un tema a noi particolarmente caro. Un tema che ho avuto modo di affrontare in primavera, confrontandomi con altri professionisti del mondo dello sport management, in occasione di un master sul management dell’atleta presso Il Sole 24 Ore. Il tema è quello dell’appeal del massimo campionato italiano, debole a partire già dal nome, benché la visibilità possa aumentare grazie alle dirette streaming.

Paolo Ricci Bitti tratta il tema con cui mi trova completamente d’accordo, in occasione delle parole spese per raccontare la difficile situazione che sta affrontando il rugby aquilano: http://sport.ilmessaggero.it/rugby/il_triste_destino_dell_aquila_rugby_vittima_di_liti_da_pollaio_il_glorioso_club_vicino_alla_scomparsa_la_lettera_commovente_dei_giocatori-3274317.html

Anno dopo anno si rimanda il problema, ma prima o poi arriverà qualcuno che seppellisce l’infausta, equivoca, inutile e insopportabile definizione di Eccellenza per la massima serie? Ogni volta che si esce dall’angusta riserva ovale iniziano i fraintendimenti e le necessità di chiarire. Già non è facile spiegare perché i migliori giocatori italiani, quelli che negli altri sport sarebbero da serie A e nel giro della nazionale, siano in realtà ristretti in due franchigie (altra singolarità) destinate solo alle coppe europe. Ecco allora la prima serie, quella che assegna lo scudetto, ma non si chiama serie A, si chiama Eccellenza. Termine che in paese calciofilo come il nostro riporta alla ben poco lusinghiera quinta serie (sarebbe la serie E, insomma) del pallone tondo.
E solo dopo nel rugby viene la serie A, ovvero, in realtà, la B. E poi la C1 Elite (eh già, chissà che elite) e infine la C senza aggettivi, C plebea, il fondo del barile, perché più di cinque categorie il movimento non le sostiene. Ah, di professionismo si può parlare davvero, e non senza difficoltà, solo per le due franchigie.
Proposta: non ci vergogniamo di quello che siamo e chiamiamo le cose con il loro nome. Dopo le franchigie dovrebbe venire la Serie A, poi la B, poi la C e la D. Oppure, se i sapientoni del marketing storcono il naso, facciamo in alto il Top 10 e poi però ripartiamo da B e C. Perché continuare a confondere e a bluffare?

Queste parole hanno sempre più senso, anche alla luce della prossima “Serie A”, a 30 squadre!!!

Ben vengano Zebre e Benetton Treviso in Pro14, un settembre così piacevole non ce lo ricordiamo da tempo. Ma concordo con il giornalista de Il Messaggero, non p momento di far si che il Top 12 si chiami Serie A, così da poterlo meglio comunicare al mondo esterno. Possibilmente distribuendo meglio la piramide del rugby italiano, perché vi sia una vera e propria differenziazione e selezione all’interno dello stesso. Un tema che abbiamo intenzione di approfondire…

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