Un rugby di nome Charlie Brown

Il marketing e la promozione del rugby in Italia sono un problema non da poco, specie se si punta tutto sulla nazionale che non vince. A riguardo anche Charlie Brown ci viene incontro e ci aiuta. Può sembrare strano ma dalla sua storia abbiamo qualcosa da cui partire per riflettere. Come probabilmente quasi tutti sappiamo, Charlie Brown gioca a baseball e perde sempre, tranne un’unica partita dopo decenni di sconfitte.

Cosa è successo? Perché gli autori hanno cambiato la trama?

lucy

Questo è accaduto perché il pubblico si era ormai abituato, forse anche stufato, del solito andamento sportivo del povero Charlie, si sapeva sin dall’inizio che tutto l’impegno profuso dal nostro simpatico eroe non avrebbe portato alla vittoria. Calo di attenzione necessità di attirare nuovamente l’attenzione sui Peanuts. Ecco il rischio che corre anche la strategia di marketing federale. Puntare tutto su una nazionale poco vincente rende simpatici per un po’ di tempo, non si sa bene quanto, ma poi annoia e non attira più. Se si vuole puntare su un unico evento, il 6 Nazioni e sulla sola nazionale, si deve essere capaci di arrivare in lizza per la vittoria fino all’ultima partita. Di cucchiai di legno ci si comincia a stufare.

La pallavolo, il basket e altri sport minori come il nostro rugby, hanno ciclicamente delle esplosioni di consenso che aumentano i tesserati tra i più piccoli, aumentano in alcuni casi, le presenze al palazzetto. La motivazione è nel filotto di vittorie che la nazionale ottiene. Nel rugby al momento non abbiamo avuto tutto questo, non ho idea se a breve questo sarà possibile, però so che è assai rischioso lasciare i campionati senza una promozione maggiore, senza creare eventi da collegare nei momenti clou della stagione.

La già citata pallavolo, organizza per la coppa Italia, una manifestazione chiamata Volleyland dove sponsor e federazione, oltre alle leghe delle società, si impegnano a divertire i piccoli e promuovere il loro sport*. Non sarebbe opportuno fare altrettanto? Abbiamo la cultura del terzo tempo, perché non sfruttarla meglio in modo più organico e professionale? Il 6nazioni è certamente bello con il villaggio degli sponsor, ma vogliamo creare qualcosa di altrettanto importante in altre manifestazioni nazionali?

  • Nota dalla redazione di PiazzaRugby: navigando ci siamo imbattuti in un articolo d’epoca datato cioè Volleyland 2007/08 parla di numeri da capogiro, ma negli anni del boom ovale, quando anche la finale di Super10 a Monza era un piccolo evento, saremmo stati potenzialmente in grado di fare altrettanto…. ma siamo ancora in tempo!
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