Galles innevato. Jonathan Davies aiuta dottori e infermieri a raggiungere l’ospedale

Una tormenta di neve, tanto feroce quanto insolita. Galles bloccato dall’Uragano Emma.

Lui, Jonathan Davies, centro degli Scarlets e della Nazionale dei Dragoni – fermo fino al termine della stagione per un serio infortunio al piede -, guarda fuori dalla finestra e non ci pensa due volte. ‘Non potevo rimanere in casa a fare nulla’.

Così il ragazzo, 29 anni, aiutato dalla sua fidanzata, si mette alla guida del suo fuoristrada. ‘Venerdì l’allenamento con gli Scarlets era stato annullato così abbiamo deciso di aiutare chiunque avesse bisogno di un passaggio’.

Grazie alla App, Next Door – applicazione che aiuta a connettere più persone che vivono nella stessa area e a scambiarsi informazioni in merito a notizie, servizi e aiuti di ogni genere -, Davies ha offerto la sua disponibilità a trasportare con la sua macchina persone in difficoltà nell’accedere ai mezzi pubblici.

Risultato: nel giro di poche ore il centro dei British & Irish Lions ha compiuto 12 viaggi aiutando dottori e infermieri a raggiungere l’Ospedale di Cardiff e poi le rispettive abitazioni. ‘E’ stato praticamente un servizio di taxi – minimizza il giocatore, che ha ricevuto il plauso della comunità locale -. Le strade erano in pessime condizioni, ma prendendoci il tempo e guidando con cautela, abbiamo fatto tutto in sicurezza’.

‘Non è stato semplice – ha concluso Davies, che ha voluto a sua volta applaudire il lavoro compiuto dai suoi concittadini -, ma molte persone hanno lavorato duramente durante la giornata per spalare la neve. Uno sforzo incredibile da parte di tutti’. (foto sito Lions)

Tributime: tutti in piedi ad applaudire Jamie Heaslip, the cream of the crop

https://www.youtube.com/watch?v=AvH43bgL_Qg

95 caps con l’Irlanda. Tre Pro 12, tre Heineken Cup e una Challennge Cup alzati al cielo con la maglia dei Leinster. Tre Sei Nazoni, due Triple Crown e un Grand Slam con la Nazionale. In più, due tour con i Lions.

In cinque occasioni inserito nel team dell’anno della Celtic League.

Premiato giocatore dell’anno da World Rugby nel 2009 e nel 2016.

Premiato dal’EPCR come giocatore europeo dell’anno nel 2011, 2012, 2013 e 2015.

Ladies and gentelmen, Jamie Heaslip.

(foto sito Irish Rugby)

‘Ricco di emozioni e di vita, non di denaro’. Così Psalm Wooching ha scelto il rugby (e salutato l’NFL)

‘I legami che crei con i tuoi fratelli rugbisti non hanno paragoni. Dentro e fuori dal campo. Preferisco arricchirmi di bei momenti ed esperienze di vita piuttosto che di denaro’. Psalm Wooching è nato alle Hawaii 24 anni fa. Nelle vene, sangue samoano. Una filosofia di vita legata alle tradizioni della sua isola e tatuata sul corpo, come un mantra: ‘Possano il vento e l’oceano guidare la tua canoa’. ‘La canoa, il vento, l’oceano possono essere paragonate a tante cose – ci spiega Psalm Wooching -, come la famiglia, Dio, gli sforzi e il duro lavoro’.

Di lavoro e sacrifici Psalm ne ha compiuti parecchi. Dalle prime apparizioni con gli Hawaii’s Kona Bulls – club con il quale ha iniziato a giocare a rugby alle Hawaii -, al percorso scolastico vissuto poi negli Stati Uniti alla University of Washington. Negli States Psalm indossa anche elmetto e armatura per la squadra di football della scuola. Non è per lui una novità. Un primo passo infatti era già avvenuto alle Hawaii, alla Kealakeha High School.

Talento e fisicità non mancano. Da linebacker  – e da capitano – il giovane isolano trascina la sua squadra al quarto posto in classifica tra tutti i team universitari dello Stato. Così, il suo telefono comincia a squillare. ‘Ricevevo una trentina di chiamate e messaggi al giorno da tantissimi agenti – racconta -. Mi dicevano: ‘Posso rappresentarti? Ogni team di NFL sta chiedendo di te’.

Per Psalm Wooching si sta aprendo un mondo. Ricco e di successo. In vista del draft NFL – il sistema che permette alle squadre di scegliere i giocatori in uscita dai college -, il suo nome è sul taccuino di molti club.

Ma lui, capisce che il vento e l’oceano stanno spingendo la sua canoa in un’altra direzione. E così, il 16 febbraio dello scorso anno annuncia la decisione di abbandonare il sentiero dorato del football americano per concentrarsi sul suo primo e vero amore, il rugby. ‘Non c’è stato un momento specifico dove ho preso questa decisione. Ho pensato e pregato tanto – racconta Wooching a Rugbymercato.it -. E’ stata una scelta dura all’inizio, considerato che tutto il lavoro fatto mi spingeva verso una carriera in NFL’.

Al suo fianco, la sua compagna di vita, Courtney Gano e tutta la sua famiglia. ‘Erano molto sorpresi all’inizio – ricorda – e volevano che ci ripensassi. Poi però hanno capito vedendo quanto ero felice’.

Nonostante nel suo cuore Psalm Wooching ha sempre saputo di aver preso la decisione giusta, molti attorno a lui hanno tentato di riportarlo sulla via del football. ‘Anche ultimamente è accaduto, ma ho fatto una scelta e continuerò a sostenerla’.

E lo scorso 17 febbraio, a un anno esatto dal suo ‘cambio di vita’, Psalm Wooching ha debuttato ufficialmente con le Eagles nel match di American Rugby Championship contro il Cile. ‘Un momento che non dimenticherò mai. Ho sempre saputo che il rugby è lo sport della mia vita’.

Il prossimo step per il giocatore dei Seattle Saracens, che la scorsa estate ha vestito la maglia degli Harlequins al Beachcomber World Club 10s alle Mauritius, si chiama Europa. ‘Ora voglio continuare questo percorso. Il mio obiettivo principale adesso è quello di giocare in Europa e diventare il miglior giocatore e compagno di squadra possibile, sia dentro che fuori dal campo. Voglio creare un ambiente vincente attorno a me’.

Guidato dal vento e dall’oceano…
(foto sito Harlequins e Seattle Saracens)

 

 

L’incredibile cammino di Joe Launchbury. Da commesso al supermercato ai 50 caps con l’Inghilterra

Nonostante il risultato. Nonostante 67.000 persone in festa che celebravano l’impresa dei propri campioni. Nonostante la Scozia e un Sei Nazioni ora nuovamente da rincorrere. Nonostante tutto, sabato pomeriggio, il volto di Joe sembrava disteso.

Ad alleviare il dispiacere del momento, il pensiero di come tutto gli stava sfuggendo di mano. E di come tutto, in un attimo, è cambiato.

Lui, Joe Launchbury, contro la Scozia ha giocato il suo 50° cap con la Nazionale inglese. Per 50 volte la seconda linea dei Wasps, 26 anni, ha cantato God Save The Queen, inno a una carriera alla quale il destino sembrava aver voltato le spalle.

Tutto inizia a 15 anni quando, il ragazzo di Exeter, si unisce all’Academy degli Harlequnins. Impegno, qualità, armatura, non mancano al gigante del Devon. A mancare però è l’ultimo step, prima del salto tra i pro. La società inglese lo rilascia infatti prima del previsto.

Lui, a 18 anni, pensa che il treno sia ormai perduto e così scende in National League 2. Gioca con il Worthing Rugby Football Club e per guadagnarsi da vivere lavora come commesso in un supermercato locale.

Gli obiettivi si allontanano. I sogni iniziano a svanire. La passione però rimane. Joe continua a lavorare e giocare. Nel 2009, al termine di un match con Worthing, il suo coach, Will Green – 164 presenze con i Wasps -, si mette in contatto con il club giallo nero. ‘Signori, qui alleno un campione’, il tono della conversazione avuta tra l’allenatore e i suoi ex dirigenti.

Launchbury così si unisce al team A dei Wasps che gioca appunto la Premiership Rugby A League. Nel luglio 2010 ecco il contratto con i giallo neri. La seconda linea termina quindi il percorso nell’Academy dei Wasps (2010-2011) e poi viene prestato al Rosslyn Park (National League 1) per fare esperienza.

Il debutto con la prima squadra dei Wasps avverrà il 30 gennaio 2011 nell’Anglo-Welsh Cup. E per uno scherzo del destino, proprio contro quegli Harlequins che non avevano creduto in lui fino in fondo. Durante il match – che i Wasps perderanno 38-13 – Launchbury segnerà anche una meta. Da quel pomeriggio, seguiranno Sei Nazioni, Nazionale e una fascia di capitano che i Wasps hanno quest’anno stretto al suo braccio.

E come sabato scorso, al termine di quel match di gennaio giocato 7 anni fa, nonostante la sconfitta, ripensando a come tutto sembrava esser svanito, nel suo volto sarà comparsa comunque un’espressione distesa.

(foto sito Wasps)

Nuova frontiera per i Bisonti: inizia l’attività anche a Rebibbia

I Bisonti Rugby hanno iniziato l’attività sportiva anche nel carcere di Rebibbia di Roma. Pubblichiamo la nota ufficiale del club che spiega l’inizio dei lavori coordinati da coach Stefano Scarsella.

‘Un sole caldo, primaverile, accoglie alle 10 del mattino Germana De Angelis e alcuni suoi volontari all’ingresso della casa circondariale di Rebibbia.

Oggi questo inaspettato e caldo sole primaverile inaugura il progetto carceri F.I.R. “Ovale oltre le sbarre” attuato dai Bisonti Rugby, segno evidente che l’attività già in essere dal 2013 presso il carcere di massima sicurezza di Frosinone, sta dando i frutti sperati.

Sabato 10 febbraio 2018, Carcere di Rebibbia, si gioca a Rugby: il campo è un misto di terra e brecciolino ma, si sa, a chi ha l’obiettivo di portare l’ovale oltre la meta non interessa la condizione del campo, né quella climatica, c’è uno spazio? Si gioca a Rugby!

Il coach, Stefano Scarsella, ha iniziato gli allenamenti solo due mesi fa, un giorno a settimana per due ore, quindi, per cominciare, si è organizzato un torneo di touch-rugby: volontari e detenuti mischiati a formare 4 squadre, 4 diversi colori per un quadrangolare.

Due ore di libertà, quando la libertà di spontaneità varca la soglia del mondo dello spirito.

Le voci e i rumori degli impatti squarciano un silenzio che grida, grida forte, la voglia immensa di riscatto.

Ora anche a Rebibbia, i detenuti possono acquisire le nozioni date dai valori fondamentali del Rugby: il lavoro di gruppo, la cooperazione e il sostegno reciproco.

“Aiutare gli altri per aiutare sé stessi”, fondamentale per il lavoro di squadra, il riscatto individuale e il successo collettivo!

Ora, anche a Rebibbia, i Bisonti sono LIBERI!’.

Sei Nazioni a prova di bookmaker

Sarà l’ultimo atto del Sei Nazioni a incoronare la squadra vincitrice dell’edizione 2018. Nel teatro più adatto. Sul terreno più verde. Il prossimo 17 marzo Twickenham applaudirà la squadra più forte. Al termine di un match che Inghilterra e Irlanda faranno di tutto per render memorabile. Il tempio inglese proclamerà la vera antagonista degli All Blacks a un anno dalla rassegna iridata. La previsione – logica conseguenza per gli appassionati considerati i valori espressi in campo dalle Nazionali – trova concordi anche i bookmakers che confermano come la vittoria del torneo continentale sarà una corsa a due.

Più probabile la riconferma sul trono da parte degli uomini di Eddie Jones, che le migliori agenzie di scommesse a livello nazionale e internazionale quotano con un comune 4/5. In pratica, giocando 10 Euro, in caso di vittoria di Hartley e compagni si intascano 18 Euro.

Quote simili a quelle offerte dalle agenzie italiane che offrono un range tra l’1.80 (18 Euro vinti ogni 10 giocati in caso di vittoria della Rosa) e il 2.00 (20 Euro vinti ogni 10 giocati).

Un passo indietro l’Irlanda, quotata 11/8 (comune anche il simile 6/4). Differenza comprensibile considerato che la Nazionale del Trifoglio dovrà giocarsi il big match in casa dei nemici inglesi. Puntando 10 Euro, la vittoria irlandese porterebbe nelle casse degli scommettitori quasi 24 Euro.

L’Inghilterra conosce i favori del pronostico anche per la vittoria del Triple Crown – riconoscimento messo in palio tra le nazionali britanniche e consegnato alla squadra che sconfigge tutte le avversarie dello UK -, quotato 11/10. Interessante il pronostico a favore dell’Irlanda, quotata 5/2 (giocando 10 Euro se ne intascano 35).

In caso di vittoria contro tutte le avversarie della competizione (Grand Slam), 10 Euro puntati sulla compagine di Eddie Jones frutterebbero – in caso di impresa inglese -, 26 Euro (13/8) mentre, a parità di cifra giocata, l’urlo di gioia irlandese coinciderebbe con una vincita di poco inferiore ai 40 Euro (11/4 la quota).

1/500, 1/1000, 1/2500 sono invece le quote che accompagnano la spedizione azzurra, con la Nazionale di Conor O’Shea addirittura non quotata da diverse agenzie.

Spostando però nuovamente le attenzioni alla partitissima di Twickenham, un fattore potrebbe sconvolgere e rovesciare tutte le previsioni. Nonostante l’Inghilterra scenderà in campo senza dubbio da favorita, l’Irlanda sarà accompagnata dalla forza trascinante di una Nazione intera. E non solo: il 17 marzo è infatti il giorno di San Patrizio

Emirates-Usa: la compagnia aerea rinnova l’accordo

Emirates continuerà a sponsorizzare il rugby statunitense ancora per 5 anni. La compagnia aerea ha infatti rinnovato l’accordo con i massimi dirigenti ovali americani: la scritta Fly Emirates continuerà così a comparire sulle divise della Nazionale a 15 e del team Seven. ‘Il rugby è uno degli sport che sta crescendo più rapidamente negli Stati Uniti – le parole del vicepresidente della compagnia Emirates Boutros Boutros -. Per noi rinnovare l’accordo è un’opzione naturale’. Emirates, partner del rugby statunitense dal 2009, continuerà a comparire anche sulle divise degli arbitri e sulle maglie delle squadre di club. (foto sito Usarugby)

La palla ovale nella Grande Mela: è nato Rugby United New York

La Major League Rugby (lega ovale professionistica che opera negli Stati Uniti dal 2018) ha annunciato la nascita di una franchigia a New York nel 2019. Si chiamerà Rugby United New York (RUNY) e parteciperà al campionato insieme a Austin Elite, Glendale Raptors, Houston SaberCats, NOLA Gold, San Diego Legion, Seattle Seawolves e Utah Warriors. Un torneo voluto lo scorso anno per favorire lo sviluppo del rugby negli Stati Uniti dopo l’esperimento (fallito) del Pro Rugby North America.

‘E’ un momento molto eccitante per la MLR e siamo felicissimi di dare il benvenuto a bordo al Rugby United New York – le parole del commissioner della lega Dean Howes -. E’ importante per noi lo sviluppo del rugby anche nella East Coast, un mercato molto interessante per il rugby professionistico’.

IL TEAM
Guidato dall’head coach Mike Tolkin, ex allenatore della Nazionale, RUNY sta già valutando 50 atleti che hanno maturato esperienza nell’Empire Rugby GU, federazione della quale fanno parte 54 squadre (di donne e uomini) tra gli stati di New York, Northern New Jersey e Southern Connecticut. Da questo gruppo di atleti nascerà la squadra che, oltre a Tolkin, potrà contare sugli assistenti Bruce McLane, Andrew Britt e Vili Vakasisikakala.

IL PROGETTO
‘Dopo aver vissuto e giocato in questa città per 20 anni, continuo a stupirmi del numero di giocatori di questa regione’, le parole del presidente fondatore del team, James Kennedy che avrà al suo fianco un socio d’eccezione, John Layfield, ex stella del Wrestling (WWE), ora coinvolto nel progetto ovale. ‘I valori che insegna questo sport sono diversi da qualsiasi altro e per questo dobbiamo lavorare affinché il rugby abbia un impatto significativo sulla nostra società’, le dichiarazioni di Layfield.

Non sarà, comunque, una mera attività di recruiting. L’idea alla base del Rugby United NY è quella di trasmettere la cultura ovale nelle scuole e sviluppare poi progetti con i college con l’obiettivo di formare giocatori di rugby professionisti (seguendo l’esempio di altri sport come basket, football americano, baseball).

RUNY ha inoltre già iniziato una collaborazione con Play Rugby USA, associazione senza scopo di lucro che utilizza il rugby (i suoi valori, il suo significato) per aiutare, ispirare e trasmettere energia a comunità in difficoltà e a persone che lamentano disturbi mentali nella Grande Mela.

L’INIZIO DELL’ATTIVITA’
I primi passi della squadra saranno in marzo. Il RUNY giocherà infatti quattro incontri amichevoli con Ontario Arrows e Boston Mystics. Un calendario che preparerà il terreno all’attività del 2019, quando il Rugby United New York inizierà ufficialmente il suo cammino nel rugby professionistico a stelle e strisce. (foto sito Usarugby)

Rugby e comunicazione: Elvis Lucchese, el sabor ovale tra le note della sua penna

Il semaforo verde sul Sei Nazioni. Il campionato destinato a entrare nella sua fase più calda. All’orizzonte, un Mondiale dove l’Italia cercherà ancora una volta di regalarsi una gioia mai vissuta. Eppure per Elvis il mondo della palla ovale ha perso el sabor. ‘O forse sono io che non lo trovo più…’. Lui, Elvis Lucchese, raffinato giornalista del Corriere figlio della terra ovale, il sapore lo trova spesso nella ricerca. Ricerca di un rugby passato, fondamenta di uno sport che molto deve alla passione veneta. Capitolo per capitolo, pagina per pagina, parola per parola. Le opere di Elvis lasciano sempre un sabor particolare, risultato che – senza perder di vista il filo conduttore ovale – regala ai lettori un gusto che travalica il semplice piacere della lettura.
Elvis, nell’ultimo periodo si è ‘staccato’ dalla quotidianità ovale. Motivi?
‘Un po’ per motivi personali, un po’ perché mi sembra che nel rugby di oggi manchi qualcosa. Ci sono fisico, schei, spettacolo, eppure non c’è, come direbbero in Messico, el sabor. O perlomeno sono io che non lo trovo più, quel qualcosa che rendeva il rugby speciale. Per me ormai è solamente uno sport come gli altri. Da tre o quattro anni a questa parte l’unica volta che mi sono veramente emozionato a una partita è stato al Battaglini per lo scudetto del Rovigo, quindi nel maggio 2016. Quella sera lì c’era davvero el sabor…’.
Recentemente ha pubblicato il suo ultimo scritto, ‘Sport di combattimento. Gli esordi del rugby in Veneto, 1927-1945’. E’ sempre molto legato alla territorialità del rugby veneto: quali sono i fattori che la spingono a iniziare una ricerca in una determinata area?
‘Mi sono sempre occupato di rugby veneto solo perché questa è la mia regione. Ma sono certo che occuparsi del rugby di Catania, L’Aquila o Frascati sia altrettanto affascinante. Come ogni giornalista, ho sempre cercato delle storie significative da raccontare. Nel mondo trovo interessante come il rugby si sia inserito nelle dinamiche sociali, con analogie e ma soprattutto grandi differenze fra paese e paese. Non ho nessun progetto specifico all’orizzonte’.
In un’intervista ha detto che le piacerebbe continuare la ricerca della storia sociale in Veneto fino ai giorni nostri. E’ il suo prossimo passo?
‘Per fare ricerca seriamente servono molte energie e molto tempo. Se in futuro trovassi dei fondi per questo impegno, sì, certamente mi piacerebbe scrivere una storia del rugby in Veneto. Gli spunti sono molti’.
Un aspetto che ha attirato la sua attenzione in merito all’evoluzione sociale della palla ovale (veneta o italiana).
‘Alla fine degli anni Trenta, quando in Italia non si sapeva neppure cosa fosse, il rugby a Rovigo muoveva già intense passioni. Nel gennaio del ’41 ci fu addirittura una squalifica del campo e dei due Battaglini per l’intera stagione, con accuse pesantissime di “tifo deleterio” da parte del presidente della Federazione. Mentre i pionieri del rugby si davano arie da lord inglesi, sbandierando fair play e dilettantismo, a Rovigo si voleva vincere e basta. Sugli stessi temi in Inghilterra, nel nord operaio, si era consumato lo scisma del XIII. Dall’approccio “plebeo” di Rovigo (approccio che peraltro mi sta molto simpatico) si può partire per molte considerazioni sull’evoluzione seguente del rugby in Veneto’.
Il libro che non manca mai sul suo comodino.
‘Un libro di rugby? Non ne tengo sul comodino… Semmai “Libera nos a malo” di Meneghello, un capolavoro che mi fa anche sempre ridere’.
Una meta che non ha ancora segnato.
‘Assistere a una finale dei Mondiali’.
Un traguardo che vorrebbe raggiungere.
‘Vedere una partita dal vivo in Georgia. O in Siberia. O alle Fiji. Vabbè, anche alle Samoa o in Madagascar…’.
La squadra, italiana o straniera, per la quale prova più affetto.
‘Oddio, ce ne sono diverse. Amavo il Toulon prima che diventasse quella specie di Paris Saint Germain che è ora. Mi sono innamorato del rugby “Razza Piave” giocato a San Donà negli anni Ottanta e Novanta. Soprattutto ci sono molte persone del rugby per le quali provo grande affetto. Alcuni sono ormai amici, altri li conosco appena ma mi ispirano una enorme energia positiva. Ad esempio Ino Pizzolato, da 45 anni l’anima della Tarvisium, una persona che incarna tutto il meglio del mondo del rugby: generosità, umiltà, voglia di fare gruppo. Un allenatore di altissimo livello, peraltro’.
Capitolo giornalismo. Per tanti anni ha raccontato il rugby dalle pagine del Corriere. Elvis, nel 2018 si può vivere di giornalismo ovale in Italia?
‘L’interesse per il rugby in Italia è senz’altro cresciuto dal 2000, ma viene spesso sovrastimato perché si considerano solo i picchi del Sei Nazioni mentre l’attenzione del grande pubblico andrebbe misurata sulla media dell’intera stagione. C’è un altro enorme ostacolo, che l’Italia e i club italiani perdono sempre. Per alimentare l’interesse servirebbe vincere regolarmente, e magari vincere una volta qualcosa di importante. In definitiva non mi sembra che ci sia ancora un “mercato” di lettori come in Francia o in Regno Unito. Fermo restando che in Italia si legge poco e che negli ultimi anni si legge soprattutto sul web, quindi… gratis. In ogni caso, come insegna il successo di Buffa, lo sport bisogna conoscerlo a fondo e saperlo raccontare, questo rimane il compito del giornalista sportivo’.
Un sentiero giornalistico che a suo avviso non è ancora stato battuto.
‘Ce ne sono senz’altro. Ma ci sono ormai anche infinite testate, blog, pagine facebook che si occupano di rugby e producono infiniti “contenuti”. La questione di fondo non riguarda cosa, ma come. Quando Cechov, che pure era un aristocratico, volle raccontare le colonie penali della Russia zarista, viaggiò da Mosca a Sachalin e lì rimase per nove mesi… Di qualsiasi sentiero si tratti, non sono ammesse scorciatoie’.
Al principio del Sei Nazioni e a un anno dal Mondiale, come giudica la situazione di salute del rugby italiano?
‘Beh, da un punto di vista sportivo, il rugby italiano è clinicamente morto. E’ cioè una realtà tenuta in vita artificialmente: se partecipiamo al Sei Nazioni e alle Coppe Europee è per interessi commerciali, non certo per i risultati ottenuti sul campo secondo i quali, di fatto, siamo un paese di Tier 2. A 18 anni dall’ingresso del Sei Nazioni non si vede ancora nessuna vera programmazione tecnica di ampio respiro: neppure il progetto delle Accademie è stato condotto fino in fondo, come era auspicabile almeno per coerenza. Invece la base è molto vivace, nascono continuamente molti club, ma si tratta di aggregazione, promozione. Il cosiddetto “alto livello” sta peggio di dieci anni fa, anche se senz’altro O’Shea è stata un’ottima scelta’.
Se potesse cambiare una sola cosa – o influenzarla con un suo pensiero – nel mondo del rugby italiano, cosa farebbe?
‘Un rilancio in grande stile del campionato’.
(foto profilo Facebook Elvis Lucchese)

Il rugby è…Feltre-Belluno in salsa samoana

Feltre-Belluno, un derby veneto al sapore antico. Il nuovo appuntamento con la rubrica Il rugby è ci regala uno scatto pubblicato dal Rugby Feltre impegnato nella sentita sfida con il Belluno.

‘Lo scatto, di qualche anno fa, vede Adis Zatta e Simone Canton che cercano di togliere il pallone ad Alessio Dal Pont, mentre Alberto Gobbi e Nic Fitisemanu osservano l’azione pronti a intervenire’, il ricordo della società veneta che – tra l’altro -, per prima diede il benvenuto in Italia al numero otto samoano. Fitisemanu infatti venne poi ingaggiato dal Pertrarca nel 2003, prima del passaggio in Galles, a Newport.

La sfida risale alla fine degli anni ’90. Il sapore del derby, a distanza di quasi vent’anni, non è tuttavia cambiato.

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